L’autografo di Cannavaro

9 Ottobre 2009 di Stefano Olivari

Tutto è immagine, quindi a Barack Obama può capitare di vincere un Nobel per la Pace preventivo (come la guerra teorizzata dai neocon) per decisioni da statista che ancora non ha preso, e a Fabio Cannavaro di passare per dopato per un video chiaramente goliardico di dieci anni fa e l’uso dichiarato in ritardo del Gentalyn Beta per la puntura di una vespa. Magari Obama convincerà con le buone Ahmadinejad a riconvertire i missili in miccette e Cannavaro si rivelerà peggio di Ben Johnson, ma allo stato attuale nessuna delle due situazioni si è verificata. Nella vicenda Cannavaro, per venire a noi, la forma è nettamente peggiore della sostanza. E non ci riferiamo al comportamento dopolavoristico della Juventus, intesa come società, che ha inviato al Ceft (in pratica un organo dell’antidoping a cui segnalare l’uso a fini curativi di farmaci proibiti) una documentazione incompleta e non ha nemmeno risposto alla raccomandata che chiedeva integrazioni. Ci riferiamo alla modalità con cui il procuratore antidoping Ettore Torri opera con i calciatori, paragonate a quelle con cui opera nei confronti degli altri sport. Per ciclisti e saltatori con l’asta, che vivano in Trentino o in Sicilia, convocazioni a Roma nell’ufficio di Torri ed interrogatori veri, con telecamere e taccuini avvertiti per tempo e pronti alla gogna. Spariamo l’immagine di Gibilisco che esce dall’ufficio del procuratore, qualcosa resterà anche se poi (come è stato) Gibilisco uscirà pulito da ogni accusa. Per i Cannavaro visita a domicilio (è andata proprio così, con missione di Torri ieri sera a Torino) e silenzio totale sullo stato dell’indagine, con archiviazione finale. Andò così un paio d’anni fa anche per Totti: anche in quell’occasione ci fu un difetto di forma, con archiviazione ad una stranissima (‘irrituale’, in politichese) velocità supersonica. Insomma i 46 controlli a sorpresa all’anno, con ispettori che si presentano all’alba, per Lance Armstrong, sono qualcosa che appartiene a mondi lontani ed eticamente (non chimicamente, stando all’ufficialità) più puliti. Il resto è comicità pura, come le certezze di Grazie Marcello, forse dovute ad una maggiora cultura farmacologica rispetto al popolino, e del medico degli azzurri. La sostanza è che Cannavaro non è un dopato, qui non stiamo scherzando, ma anche che il mondo del calcio non accetterà mai controlli veri: lo scandalo dell’Acqua Acetosa è passato invano. Speriamo almeno che Torri sia venuto via da Torino con un autografo e una maglia.

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