L’anno dei Lakers

5 Dicembre 2008 di Francesco Casati

“Non credo che i Lakers abbiano una sola possibilità di vincere 70 partite”. Questa è la risposta di Phil Jackson, dopo la vittoria sul campo di Philadelphia, ai giornalisti del Los Angeles Times alla domanda ‘Questa squadra può raggiungere il record dei Bulls del ’96?’. Cioé 70 vinte, 12 perse e sempre Jackson allenatore…Ovviamente coach Jackson ha voluto stuzzicare i suoi giocatori, cercando una reazione di orgoglio per mantenere alta la concentrazione e vincere la regolar season. La competizione nella Western Conference è di primissimo livello e il fattore campo è fondamentale, ma ancora più importante lo è in finale, dove il formato 2-3-2 diventa un vantaggio significativo per chi ha il miglior record. La NBA a 30 squadre fortemente voluta dal commissioner David Stern è costituita da 6/7 formazioni da titolo, una dozzina di franchigie giovani e di talento e, purtroppo, da troppe realtà senza alcuna prospettiva. Questo rende l’attacco dei Lakers sufficiente per vincere la regolar season NBA e per raggiungere inoltre quel record di vittorie dei Bulls.
Ma quanto valgono i Lakers? Soprattutto, cosa hanno in più dell’anno scorso visto che la rosa è la stessa? Oggi i Lakers sono la miglior squadra dell’Ovest e giocano il miglior basket offensivo della Lega. Hanno corsa, esecuzione, mani buone, fiducia e Kobe Bryant. Le differenze tecniche dall’anno scorso sono poche ma significative. Partiamo da Lamar Odom. Quest’anno ha visto il suo minutaggio leggermente ridotto ed è stato inventato nel ruolo di sesto uomo per lasciare spazio in quintetto al giovane Andrew Bynum. Il management ha investito forte su Bynum, contratto da 58 milioni di dollari per 4 anni, per uno dei centri emergenti della lega, mentre lo staff tecnico sta portando avanti un lavoro di sviluppo individuale. I Lakers amano dire che Kareem Abdul Jabbar ne sia il mentore, ma in sono realtà Brian Shaw e Jim Cleamons che stanno seguendo il ragazzo nella sua crescita tecnica. Bynum al fianco di Gasol significa un quintetto più alto, con tanta intimidazione e punti in area? Se da gli anni ’80 il basket non si fosse evoluto la risposta sarebbe sì, invece la verità è tutt’altra. Gasol e Bynum non si integrano bene insieme né in attacco né tantomeno in difesa; l’impossibilità di aprire il campo e di accoppiarsi con un quintetto basso e veloce sono evidenti, ed è per questo che Lamar Odom sesto uomo è fondamentale.
Il numero 7 dei Lakers, che è senza ombra di dubbio il miglior difensore e passatore della squadra, quando entra in campo abbassa il quintetto e automaticamente alza il ritmo dell’attacco e l’intensità difensiva. In sostanza, i Lakers hanno 3 giocatori di livello per 2 ruoli, ma la coppia Bynum-Gasol non è di primo livello e Odom sesto uomo è l’unico modo per giocare, nei momenti chiave delle partite, un basket veloce fatto di movimento e di letture. Inoltre, Odom è uno di quei giocatori che non si misura dalla statistiche e lui stesso è il primo a non darci peso; autentica rarità in una lega piena di primedonne.
L’altra novità tattica dei Lakers risponde al nome di Trevor Ariza, un atleta formidabile capace di correre, difendere 4 posizioni e segnare tiri piazzati dall’angolo (pur non essendo un tiratore continuo), nervo scoperto nella difesa di 28 squadre su 30, uniche eccezioni sono Cleveland e San Antonio. La scorsa stagione i Lakers sono crollati in finale, dove almeno una delle 3 stelle di Boston (Allen,Garnett e Pierce) veniva marcata da un difensore mediocre; Ariza potrebbe superare questo limite accoppiandosi a piacimento contro la guardia o l’ala piccola avversaria. Il mondo NBA vive di questi piccoli dettagli, lo sanno bene giocatori dal talento limitato come Bowen e Posey che hanno fatto la differenza in questi anni.
Il basket è uno sport dove la guida tecnica incide in percentuale molto alta sui risultati di una squadra, ma senza giocatori come Kobe Bryant e Tim Duncan nessun Trevor Ariza o Bruce Bowen sarebbe mai decisivo per la vittoria di un titolo. Quello che Kobe Bryant sta facendo quest’anno è qualcosa di assolutamente nuovo per lui: gioca in controllo, ha fiducia nei suoi compagni, non sente l’esigenza di forzare tiri e accetta con serenità un minutaggio medio di 33 minuti, sintomo di una squadra in salute. Kobe ha già vinto 3 anelli, ma quei successi dei Lakers vengono (giustamente) associati al nome di Shaq, che era leader assoluto di quella squadra. Da quando le strade di Shaq e i Lakers si sono separate, Bryant è diventato padrone della squadra, ma solo nelle ultime due stagioni ha avuto per le mani la possibilità di competere per il titolo. Solo Phil Jackson è riuscito a rapportarsi con l’ego smisurato di Bryant, il quale per la prima volta nella sua carriera non ha conflitti interni nello spogliatoio ed è sulla stessa linea del general manager Kupchak. Sul campo Kobe non ha limiti, è spettacolo puro.
L’altra sera a Philadelphia ha dominato la partita con 32 punti e una capacità unica di decidere lui quando chiudere la partita e zittire un pubblico che non l’ha mai amato. Kobe si è sempre definito un figlio di Philadelphia, ma i cittadini della città dell’amore fraterno non lo considerano come tale in quanto ci ha vissuto solamente negli anni del liceo, per di più in un area residenziale in collina (Ardmore, reddito medio per famiglia di 75 mila dollari). I 19mila presenti (secondo i dati ufficiali, in realtà non erano più di 15mila) al Wachovia Center erano tutti lì per Kobe: non certo per fischiarlo, ma per vedere giocare uno dei migliori di sempre. Inoltre, non mancavano centinaia di tifosi di Kobe con la maglia 24 dei Lakers che hanno intonato a più riprese il coro “MVP!MVP!”.
I Lakers hanno tutto per vincere; gli occhi dei media sono puntati su di loro, e negli uffici NBA di New York si prega per rivederli in finale, perché anche l’NBA ha una crisi da fronteggiare, e le stelle come Kobe e LeBron riescono a far vendere a cifre da capogiro questo prodotto. Ma non solo: riescono a nascondere le pecche di una lega che negli ultimi anni ha cavalcato troppo l’espansione commerciale aprendo nuove franchigie in mercati non adeguati.
Francesco Casati, da Philadelphia
f.casati@fastwebnet.it
(in esclusiva per Indiscreto, foto di Francesco Casati)
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