La personalità di Franco Gasparri

3 Marzo 2012 di Fabrizio Provera

di Fabrizio Provera
Chissà se Kartlos, capo pagano considerato il padre della moderna Georgia, avrebbe mai immaginato che anche la pallacanestro sarebbe stata un elemento importante dell’orgoglio nazionale. Non siamo intenditori di paganesimo (chi scrive è cattolico apostolico romano), ma ovunque si trovi Kartlos deve aver apprezzato l’ingenua domanda di un ignaro giornalista ad Andrea Trinchieri durante le Final Eight di coppa Italia: qual è la ragione dei tanti punti provenienti dalla panchina di Cantù? Semplice, replicò il coach, è tutta una questione riconducibile alla nazionale georgiana.
Dunque il nostro elogio alla Bennet che si congeda da una splendida Eurolega, tante luci e poche ombre nelle notti magiche del PalaGladiatori di Desio (ma anche a Barcellona, Bilbao, Tel Aviv e infine Kaunas, dove la Bennet di Anna Cremascoli ha strappato la vittoria davanti a oltre 9.000 devoti lituani della religione del cesto), va soprattutto a Manuchar Markoishvili e Georgi Shermadini, che Trinchieri ha plasmato nella sua evidente venerazione per una certa idea della pallacanestro, lontana anni luce dallo showtime luccicante dell’Nba, più affine alla rude scuola cestistica europea (vedi le considerazioni sulla scuola europea svolte da Simone Basso nell’elogio a Sarunas Jasikevicius). Che i caucasici siano da sempre antropologicamente affini e fedeli alla storia d’Europa ce lo rammentano gli esperti, i quali ci insegnano che questo popolo, a differenza dei mongoli o dei turchi, ha sempre presentato caratteri morfologici del gruppo europoide; la loro cultura ha antiche origini, che incrocia quella romana e mediterranea per tante ragioni, fra cui l’introduzione del Cristianesimo come religione di Stato nel quarto secolo dopo Cristo, pochi decenni dopo l’editto di Costantino.
Manu e Georgi, ai nostri occhi di devoti della commistione tra basket e cultura popolare, sono uniti anche da un’affinità cinematografica ed attoriale: Shermadini, ha fatto rilevare coach Trinchieri sin da ottobre, è la risposta di Cantù a Rowan Atkinson, il celeberrimo mister Bean della Bbc. Ne ha certe movenze goffe, l’espressione ingenua. Ma di che pasta sia fatto, Shermadini l’ha dimostrato calcando senza alcun timore reverenziale – a soli 22 anni- i parquet più nobili d’Europa, si pensi solo al recupero offensivo di Tel Aviv con assist a Basile per la conseguente tripla mortifera, glaciale e molto poco ignorante. Mica un caso che l’aristocratica Cantucky l’abbia scovato: tra gli antenati di Sherma ci dev’essere qualche nobile dignitario georgiano, quantomeno un Barone, da affiancare all’epica del principe Basile da Ruvo di Puglia (ramo aristocrazia contadina) e al conte Vlado Micov da Belgrado (ramo nobiltà del ferro e della spada: la ex Jugoslavia è pur sempre la terra insaguinata della tigre Arkan e del meno conosciuto e non meno truce Ante Pavelic, capo carismatico degli Ustascia, le milizie filo- fasciste del secolo Breve). Con percentuali al tiro a volte stupefacenti, e un rapporto tra rendimento e minuti giocati elevatissimo, Shermadini si è rivelato l’ennesimo colpo azzeccato del mercato low cost di Cantucky. Anche se la sua attitudine al fallo, specie per il metro dei fischietti italici, è un limite non da poco, specie in prospettiva playoff.
Manu Markoishvili invece, nei periodici confronti da cazzeggio colto-trash-poliziottesco col Direttore, ci ricorda incredibilmente Franco Gasparri, in arte Marco Terzi, indimenticabile e sfortunato protagonista della saga di ‘Mark il Poliziotto’, del regista (per noi meritevole di culto sempiterno) Stelvio Massi. Franco Gasparri, divo da fotoromanzo ridotto sulla sedia a rotelle dopo una tragica caduta in moto (1980) e morto nel 1999, fu dapprima un idolo delle ragazzine: folta e fluente chioma mora, atteggiamento dandy e andatura dinoccolata, Mark faceva stragi di cuore. La risposta dei B-Movies all’italiana a James Bond: solo che, in luogo del Dom Perignon 1964 (dopo averlo bevuto, una volta, la prova dell’esistenza di un Dio ci è parsa incontrovertibile), Mark era piuttosto tipo da vino bianco-mosso-servito in calice-affusolato-improponibile, ma anche da chinotto o gassosa, quelle che si bevono sui tavolini del covo hippy, dove il nostro poliziotto si infiltra, nel fondamentale ‘Mark colpisce ancora’. Manu Markoishvili ha tratti del viso rocciosi e spigolosi, non è un belloccio da rotocalco; ma l’imponenza fisica, l’imprevedibilità, la silente generosità al servizio della squadra ne fanno un icona di dedizione alla causa, come Mark Terzi. Si pensi alla schiacciata contro la Virtus Bologna allo scadere del secondo quarto di Bennet-Canadian, a gennaio, che ridiede smalto a una Cantucky molto spenta; ai 32 punti di Kaunas, con percentuali al tiro da trance agonistica; al fatto che ogni qualvolta le prestazioni di Micov e Markoishvili sono convincenti, la Bennet non stecca una gara. Certo, Manu non ha la chioma bionda e la grazia dell’altrettanto indimenticabile Maurizio Merli, il commissario Betti di ‘Roma Violenta’ (pellicola indispensabile per introdursi degnamento al cosiddetto cinema di genere), stroncato da un infarto sui campi da tennis a soli 49 anni. Tocca farsene una ragione. La pallacanestro, ancora una volta, incrocia generi e culture. Per rinnovarsi trasfigurata in un’altra trama, come disse il Poeta.

Fabrizio B. Provera, 3 marzo 2012

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