La partita fantasma di Pinochet

13 Aprile 2011 di Stefano Olivari

di Vincenzo Paliotto
Nessun calciatore al mondo si può augurare di giocare e addirittura fare gol contro nessuno. Un’eventualità che nella storia del calcio si è verificata in uno scenario macabro e in una circostanza insostenibile per i suoi stessi innocenti protagonisti. Come il grande Carlos Caszely…

L’11 settembre del 1973 con un violento colpo di stato il generale Augusto Pinochet scalzò dal potere del governo del Cile Salvador Allende, che era stato eletto con largo consenso a capo del partito di Unidad Popular. I governi dei maggiori paesi europei tentarono in qualche modo di disapprovare quanto avveniva a Santiago e dintorni, ma Pinochet continuò nella sua durissima repressione e come quasi sempre avviene in occasione di un golpe, dopo le iniziali perplessità, tutto sembrò poi rientrare nell’assoluta quotidianità delle cose.
In uno scenario del genere la nazionale cilena di calcio si trovò il 21 novembre del 1973 a giocarsi lo spareggio per approdare alla fase finale della Coppa del Mondo in Germania nel 1974 contro l’URSS. Nelle eliminatorie sudamericane gli andini avevano estromesso il Perù e quindi nella gara di andata dello spareggio avevano ottenuto un prezioso pareggio a reti inviolate a Mosca in una serata freddissima. A Santiago del Cile i padroni di casa avrebbero potuto così gestire una grossa opportunità di staccare il biglietto per la Germania. La gara era in programma il 21 novembre all’Estadio Nacional di Santiago del Cile, ma l’URSS chiese alla FIFA di disputare la gara in campo neutro e dopo il rifiuto di quest’ultima rinunciò al suo viaggio in Cile. La farsa, però, assunse contorni ancora più assurdi e macabri, in quanto i militari di Pinochet imposero alla federazione calcistica cilena di disputare comunque quella partita, anche senza gli avversari di quel giorno.
L’allenatore Luis Alamòs comunicò ai propri giocatori questa infame decisione e spiegò loro che all’azione di gioco avrebbe dovuto partecipare tutta la squadra, mentre il “gol decisivo” doveva essere segnato dal capitano di quella formazione Francisco Valdès. Una situazione orribile, raccontata vent’anni dopo dall’attaccante Carlos Caszely: “La nostra nazionale sarebbe ugualmente scesa in campo da sola, e al termine di un’azione in cui tutti i componenti della squadra avrebbero dovuto toccare il pallone, uno di noi avrebbe dovuto segnare nella porta vuota. Poi ci sarebbe stata un’amichevole contro il Santos, ma il clou della giornata avrebbe dovuto essere quell’assurda pantomima. Quando me lo dissero non ci volevo credere. Ma con il passare dei giorni capii che era tutto vero, e allora cominciò la mia crisi. Già vivevo male quei giorni sapendo quello che accadeva intorno a me, sapendo che molti miei amici erano stati portati in quello stadio, e poi torturati e uccisi; mi sentivo un vigliacco, mi vergognavo di continuare la mia vita come niente fosse successo, mentre intorno a me succedeva quello che succedeva. Ma voi potete immaginare quale atmosfera ci fosse in quei giorni nel mio paese. Un’atmosfera di paura, la toccavi, la paura, ti ci scontravi ogni volta che ti muovevi, che giravi la testa, che alzavi un sopracciglio. Ci voleva troppo coraggio per sconfiggere tutta quella paura, e io non ce l’avevo tutto quel coraggio”.
Caszely era ed è stato uno dei migliori calciatori nella storia del Cile. Attaccante del Colo Colo, avrebbe poi avuto anche esperienze in Spagna, con le maglie di Levante ed Espanyol, e in Ecuador. Si professava apertamente di sinistra, avendo appoggiato Unidad Popular e lo stesso Salvador Allende. “Nessuno mi fece niente, nonostante tutto. Ero troppo famoso perché quei vigliacchi avessero avuto il coraggio di toccarmi”. Lo stesso Carlos pensò che l’incombenza di spingere il pallone in quella porta desolatamente vuota sarebbe toccata a lui. Anche perché il regime si sarebbe così potuto vendicare dell’avversità politica impunita del calciatore. Il regime, invece, indicò il “goleador” di giornata nel capitano Francisco Valdès, capitano della nazionale e bandiera anche lui del Colo Colo. “Povero Francisco. Figlio di operai, militante di sinistra da sempre, quando l’allenatore gli comunicò quella notizia lo vidi sbiancare”. Valdès fu così costretto a siglare il gol più triste della storia, pochi mesi dopo l’impresa sfiorata in Copa Libertadores (sconfitti in finale, allo spareggio) insieme a Caszely. Tutti pensarono di partecipare a quell’incredibile triste sublimazione del regime, persino i tifosi che affollarono in tripudio le gradinate dell’Estadio Nacional.
Vincenzo Paliotto
vincenzopaliotto@libero.it  
(dal libro ‘L’altro calcio – Storie di football e politica’, in vendita presso la Libreria dello Sport)

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