La parte soggettiva del basket

12 Novembre 2010 di Stefano Olivari

Ci sono sport che si prestano all’analisi statistica più di altri. Fra questi c’è di sicuro il basket, in particolare quello NBA che è ripreso da poche settimane e che da anni assicura i migliori ritorni agli scommettitori professionali insieme all’hockey ghiaccio e al baseball (la disciplina che in pratica ha ‘creato’ la statistica sportiva, guarda caso). Il metodo di formazione delle quote (uguali intorno all’1,90 ma con handicap) più diffuso è quello basato sulle percentuali di vittorie rispetto alle partite giocate, che ovviamente assumono un significato solo dopo qualche settimana di stagione regolare. Prendiamo una teorica partita fra i Lakers (mettiamo con una percentuale del 70%, in ‘statistichese’ americano si scrive ‘.700’) e i Nets (per ipotesi al 30% di vinte). Quale sarebbe una quota di partenza ‘giusta’? La formula usata da molti bookmaker è questa: percentuale della favorita meno percentuale della sfavorita, diviso 20. Nel nostro caso: 700 meno 300, diviso 20. Risultato 20, cioè i punti di scarto teorici, a cui si aggiungono e sottraggono 3 punti a seconda di chi giochi in casa. Allo Staples Center la squadra di Kobe Bryant avrebbe così un handicap teorico di 23, da rifinire in caso di partite in giorni consecutivi e di confronto fra gli ultimi risultati. Tutto ciò che si discosta dal meno 23 dei Lakers dipende quindi dai fattori più volte citati: allibraggio, stato di forma dei giocatori chiave, eccetera. Siamo quindi in grado di isolare la parte soggettiva della quota, confrontandola con le nostre idee, da quella base.
Stefano Olivari
(Pubblicato sul Giornale)

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