La panchina da happy hour

5 Marzo 2008 di Stefano Olivari

La vita è adesso, soprattutto nello sport professionistico. Per questo nessun ciclo del Milan si è interrotto a San Siro contro l’Arsenal, al di là della lezione di calcio data per 180 minuti da Wenger: perché, bisogna ricordarlo, la stessa rosa dei Gunners allenata non da un passante ma, mettiamo, da Trapattoni, anche contro un Milan logoro avrebbe faticato ad uscire dalla metà campo. Tolti Fabregas e Van Persie (che era in panchina, in ogni caso), una squadra di giocatori medi ma nel fiore degli anni e bene allenati potrebbe far trarre l’affrettata conclusione che questo Milan sia da pensionare. Ma dove? A livello di primi undici, per una squadra che deve vincere nel presente tolto Maldini l’età è quella gusta. I due uomini chiave, Kakà e Pirlo, hanno 26 e 29 anni, la difesa con Zambrotta (che comunque ha la stessa età di Jankulovski) al posto di Maldini sarebbe tutta di gente intorno alla trentina, Seedorf si può gestire, Pato può solo crescere, tutti gli altri sono tranquillamente sostituibili con giocatori sul mercato. Drogba fa titolo, ma con meno di 20 milioni l’attaccante ideale, per fisico e tecnica, per aprire il campo a Kakà e Pato esiste già e si chiama Amauri. Non a caso è già stato cercato, al di là della sua nazionalità calcistica ancora da definire (scegliesse l’Italia guadagnerebbe punti Milan). Tutto il resto è contorno, ricordando l’ovvio: negli ultimi anni Galliani ha sistematicamente sbagliato nella scelta delle seconde linee, un po’ per bronzettismo (Emerson ha dato qualche segno di vita nell’ultimo mese, ma rapportato all’ingaggio è impresentabile), un po’ per errori puri e moltissimo per non rovinare equilibri societari e di spogliatoio. Bonera perché ha lo stesso procuratore di Pirlo, Ba perché porta bene, Cafu perché è simpatico, Digao per ammorbidire suo fratello, Favalli perché piace a Fini, Simic perché non si è autoridotto l’ingaggio e non si è riusciti a cederlo, Serginho perché non ha pretese, Brocchi perché è bene inserito, e così via: a parte Gourcuff e pochi altri il Milan Due è più una squadra di amici, di gestori di locali e di pubbliche relazioni che un’alternativa in grado di dare respiro in campionato al Milan Uno. Non è di per sé una cosa negativa, la panchina da happy hour: le gestione di giocatori di pari livello è spesso impossibile e prima di fare l’allenatore Ancelotti qualche anno sul campo l’ha passato. Insomma, con un attaccante di valore, qualche rincalzo sano di livello Empoli o Cagliari ed una scelta chiara del portiere questa squadra rimarrebbe da Champions League anche con Lippi, facendo in campionato meglio del probabile quarto posto di quest’anno. Gli scenaristi sono già scesi in campo, ma fra un titolone e l’altro scommettiamo sul fatto che non ci sarà alcuna rivoluzione: i giornalisti di area servono a far sognare il tifoso con Ronaldinho e Gerrard, ma uno dei segreti dei 22 anni berlusconiani è stato sempre quello di cambiare poco da un anno all’altro. L’unica volta in cui si è derogato da questa regola, nell’estate 1997 (quella di Kluivert, Ziege, Bogarde, Ba, Leonardo e del ritorno di Capello), mezza squadra giocò contro allenatore e società.

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