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La mentalità internazionale di Demis Roussos

Paolo Morati 30/01/2015

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La scomparsa di Artemios Ventouris Roussos, in arte Demis Roussos, nella notte tra sabato e domenica scorsi proprio mentre in Grecia stava avvenendo un cambiamento politico epocale con il trionfo di Syriza, permette di affrontare un altro capitolo decisivo della musica europea di matrice melodica. Sì perché il cantante e strumentista – figlio dell’epoca d’oro del cambiamento verificatosi a cavallo tra anni Sessanta e Settanta – aveva in repertorio (da solista e con il gruppo nel quale aveva militato insieme a Vangelis, ossia gli Aphrodite’s Child) una serie di successi certamente non caratterizzati da quel tanto amato e rispettato ‘rumore e accelerazione’ che permette di raccogliere più facilmente applausi.

Forti anche della lezione sonora dei Procol Harum, canzoni come Rain and Tears (dall’origine classica), We shall dance, Forever and ever, Spring, Summer, Winter & Fall o It’s five o’clock (la nostra preferita) sono quanto di più lento (se non ne nelle parole certamente in termini di ballad) si potrebbe chiedere, eppure vengono recepite come classici, inquadrate dai più nella corrente progressive sulla quale i ‘child’ (e non children) si esercitarono in grande stile e più compiutamente nell’album 666 ispirato all’Apocalisse di San Giovanni, quando erano però già vicini allo scioglimento (Vangelis ne fu sostanzialmente il vero fautore, considerato che Roussos propendeva più per un approccio pop).

Come si usava all’epoca nei progetti destinati a più Paesi, nella discografia di Demis Roussos ci sono brani registrati in diverse lingue, compreso l’italiano con il più noto che è probabilmente Profeta non sarò (a noi piace molto Credo, del 1980, in originale I need you) oltre a una versione di Lontano dagli occhi di Sergio Endrigo. E proprio al nostro Paese lui era particolarmente legato anche per via delle origini di sua madre, egiziana ma con padre napoletano (che di cognome faceva Calvo), e dal nome d’arte di Nelly Mazloum: una vera star nel mondo della danza e del cinema orientale.

E Demis, nato ad Alessandria d’Egitto, look inconfondibile (da ricordare i caftani che indossava in un periodo storico dai colori straordinari), notevole presenza scenica e voce in ‘falsetto’ (o quasi), fu capace di affermarsi come una sorta di icona musicale soprattutto in Paesi come la Francia dove era apprezzatissimo, la Germania e l’Europa in generale (anche nella schizzinosa Inghilterra visse qualche stagione di successo), quando il conformismo non era ossessivamente dilagante (e mono media), e c’era spazio per una selezione più eterogenea e realmente internazionale indipendentemente dalle origini. E di dischi, rispetto ad oggi, se ne vendevano tanti.

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