Basket

La lega che dà una chance ai Thunder

Stefano Olivari 15/05/2012

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I Lakers hanno subìto un massacro contro i Thunder che ha pochi precedenti nella loro grande storia nei playoff: 119 a 90, con una differenza fisica anche superiore a quella nel punteggio e solo parzialmente spiegabile con la garasette contro i Nuggets che Pau Gasol e il rientro di World Peace hanno risolto. Parlando di una garauno viene subito in mente il Memorial Day Massacre della serie finale del 1985, quando i Celtics di Bird, McHale, Parish, eccetera, distrussero 148-114 i gialloviola grazie anche a una memorabile esibizione di tiro di Scott Wedman (nostro idolo anche in quanto vegetariano, come Kresimir Cosic). Non è male ricordare che alla fine la squadra allenata da Pat Riley quella serie la vinse, quindi le considerazioni epocali possono sempre cambiare in base all’ultimo risultato. Questo non toglie che i Thunder siano il miglior esempio di un sistema che funziona anche oltre le furbate di tanti e le preferenze personali dei giocatori, che in larga parte quando sono free agent preferiscono guadagnare 80 (ma non 40) a Los Angeles che 100 a Salt Lake City. I tre migliori giocatori della squadra sono infatti arrivati non dal ‘mercato’ ma dal draft: Durant nel 2007, Westbrook nel 2008 e Harden nel 2009. Dal meccanismo che sta alla base della pari dignità delle squadre in un campionato, senza togliere le ovvie differenze di mercato fra New York e Milwakee, sono usciti anche Ibaka (2008), indirettamente Sefolosha (scambiato cedendo ai Bulls una scelta nel 2009) e in minima parte anche Perkins (nella megaoperazione con i Celtics è entrata anche una scelta 2012). Il tutto sotto la regia del direttore generale Sam Presti, in realtà Prestigiacomo, assunto come direttore generale quando la squadra era ancora a Seattle e si chiamava SuperSonics: sembra un secolo, ma erano cinque stagioni fa. In tre anni (anche due, quella dell’anno scorso fu una grande occasione persa) e in una città come Oklahoma City (per popolazione non è fra le prime 30 degli Stati Uniti), il passaggio da peggiore o giù di lì squadra della NBA a co-favorita con i Miami Heat per il titolo spiega perché esistano milioni di persone che si definiscano tifose della NBA e non di singole sue squadre (del resto a un non americano cosa importa di San Antonio o Philadelphia?). Gli eterni Real-Barcellona, non solo calcistici, divertono in territori con cultura sportiva diversa.

Stefano Olivari, 15 maggio 2012

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