La democrazia è una bomba

15 Maggio 2012 di Fabrizio Provera

Fini difende gli indifendibili: il Mullah Omar, i Taliban, Slobodan Milosevic, la Libia di Gheddafi. Ma per quale ragione? Fini non è un no-global, non è un sovversivo, ha mandato prosaicamente a fare in culo tutti o quasi i difensori dell’estremismo di sinistra che scende in piazza a bruciare bandiere americane o israeliane (cosa riprovevole, non certo costume di Massimo Fini). Il perché dell’avversione di Massimo Fini per le guerre democratiche è più sottile. Fini stigmatizza la guerra senza combattimento, citando l’esempio del comandante della missione Nato in Afghanistan, Tommy Frank, che guidava le operazioni dall’assolata Tampa, in Florida. Fini vede con terrore quel “totalitarismo tanto più pericoloso, perché spesso inconscio, che non riesce a riconoscere e nemmeno più a concepire la dignità e il diritto dell’altro da sé”.

E’ tutto qui. La ragione di un polemista di razza, la cui lettura è come un pugno allo stomaco, che costringe ciascuno di noi- comunque la si pensi, da qualunque orizzonte culturale e politico si provenga – a fare i conti con il lato oscuro della modernità. Ma George Lucas, Dart Fener e Guerre Stellari purtroppo non c’entrano, e non bastano a spiegare perché anche i più incalliti liberali e filo occidentali- se sinceri- non possono rimanere insensibili alle cannonate di Massimo Fini.

Che una sola volta sola si tradì, davanti al sottoscrittto, circa la sua ‘vera’ fede politica: “Ricordo con immenso piacere, negli anni Settanta, quando mi toccò seguire la cronaca di un processo contro due anarchici libertari, fondato sul nulla. E infatti alla fine vincemmo noi”. Ma lei era indagato? Perché usa il noi? “Non ero tra gli indagati. Vinse la nostra immortale utopia, quella di coniugare libertà e giustizia sociale”.

Fabrizio Provera, 15 maggio 2012

Massimo Fini, ‘La guerra democratica’ – Chiarelettere edizioni, pagine 290, euro 14.90

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