Individualismo a Cantù

11 Maggio 2012 di Fabrizio Provera

La vigilia dei play-off di pallacanestro, che assegneranno il titolo di campione d’Italia al culmine di una stagione del tutto particolare, rimandano Cantucky ad una riflessione sulla contrapposizione tra comunità e individuo. Negli ultimi, sofferenti due minuti di Bologna-Cantù, durante quali i ragazzi di coach Andrea Trinchieri hanno dilapidato un vantaggio che pareva rassicurante, le conclusioni offensive di Doron Perkins – che continuiamo a sostenere senza se e senza ma, per la generosità e la capacità di cambiare volto e ritmo al match – ci hanno lasciato parecchi dubbi. Non per il fatto che ovviamente fossero, come nel caso dello sfondamento finale su Poeta, frutto di decisioni concordate con il coach, ma perché ci sono parse azioni poggiate su un legittimo desiderio di affermazione individuale. E a Cantucky, che non solo tecnicamente, ma anche filosoficamente, fonda la sua forza sul gruppo (e quindi la comunità), non è permesso deviare da questa strada.

Pensiamo infatti ai primi 38 minuti dell’ultima di campionato, quando la Bennet orfana di Micov e Shermadini (e con Manu Markoishvili, alias Mark il Poliziotto, sofferente ma ugualmente eroico) ha dato lezioni di squadra alla Virtus, arrivando a un centimetro dalla grande impresa. Siccome nella nostra visione la pallacanestro va ben oltre il dato materiale, ricordando la lezione di un sagace pensatore come Alain De Benoist (presto su queste pagine…), ricordiamo – e non a caso- che l’individualismo nasce e cresce negli Stati Uniti, dove si presenta come una teoria dei diritti (soggettivi), fondata su un’antropologia individualista. Ogni individuo è agente morale autonomo, «padrone assoluto delle sue capacità», alle quali ricorre per soddisfare i desideri espressi dalle sue scelte. Invece il punto di partenza dei comunitari è anzitutto d’ordine sociologico ed empirico: constata la dissoluzione dei legami sociali, lo sradicamento delle identità collettive, la crescita degli egoismi. Sono gli effetti d’una filosofia politica che provoca l’atomizzazione sociale, legittimando la ricerca da parte di ognuno del maggior interesse, restando così insensibile ai concetti d’appartenenza, di bene comune e di valori condivisi.

Ed è proprio qui che Cantucky deve dimostrare la propria forza, la sua Idea Diversa del basket: l’appartenenza, la comunità, l’identità. Lo ha già fatto svariate volte, l’ultima in occasione del minuto di silenzio (interrotto per 60 secondi da applausi scroscianti e sinceri) per la signora Anna Corrado, il 2 maggio scorso al Pianella. Come on Doron, ti crediamo pienamente all’altezza dei colori di Cantucky e nonostante le tue origini ti sappiamo capace di essere comunitario e vincente, non certo votato all’affermazione di sé svincolata dal destino dei compagni di squadra. Settimana prossima penseremo (e ve ne parleremo) ai quarti di finale contro Pesaro. Per adesso, rafforziamo la nostra coscienza comunitaria. Perché “la comunità, per chi vi appartiene, è un bene in sé”.

Fabrizio Provera, 11 maggio 2012

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