Il margine di Bolelli

10 Maggio 2010 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari
La serie A possibile, la pressione sulle donne, il solito Federer finito, l’unicità della Martinez Sanchez e uno Slam più mini del previsto.

1. Poco da dire su una spedizione di Davis preparata malissimo, incassando i no dei due giocatori italiani meglio classificati, televista così così sulla tivù federale e giocata benissimo. Il ritorno in serie A dipende fondamentalmente dal sorteggio, ma intanto c’è da gioire per un risultato da mettere in prospettiva (la Davis conta quasi zero, la vera dimensione è quella nei grandi tornei) ma che può significare la resurrezione ad un certo livello di Simone Bolelli. Che due anni fa era considerato il demonio, anche perchè al presidente FIT Binaghi era sgradito il suo coach Pistolesi (ora l’ex terraiolo, a livello juniores stella mondiale, si occupa di Berrer), mentre ora torna ad essere quello che è: l’unico italiano con il potenziale per battere quelli forti davvero al loro meglio. E sottolineiamo potenziale, visto che il best ranking del venticinquenne di Budrio è 36 (febbraio 2009). Il ritorno in alto passa, oltre che dalla testa, da un lavoro atletico di qualità superiore. Il servizio e i fondamentali da fondo campo ci sono, il margine è superiore a quello di Seppi e Fognini. Tutto questo va detto ricordando che il mitico ‘italiano forte’ serve solo a guadagnare righe sui quotidiani generalisti districandosi fra un Mourinho-Ranieri e un mercato Juve, mentre agli appassionati di questo ipotetico messia con il passaporto giusto importa il…giusto. Cioé poco.
2. Fra le leggende del tennis italiano c’è anche quella che gli italiani e le italiane sentanto troppo la pressione del Foro Italico. Passi per i maschi, dove un modesto passaggio di turno scatena paragoni con Pietrangeli e Panatta, ma per le nove donne che si sono esibite nel deserto l’ecatombe già dopo due giorni di torneo ha poche giustificazioni. Sorteggi sfortunati, perché in nessun caso si può parlare di enormi sorprese (anche nei casi, tipo Pennetta e Schiavone, di sconfitta contro peggio classificate), ma anche prestazioni sotto lo standard: contro il devastante diritto della sua bestia nera Safarova la Pennetta è stata imbarazzante, mentre Schiavone (contro Martinez Sanchez), Vinci (Radwanska) e Camerin (Wozniacki) potevano e dovevano perdere meglio. Un brutto risveglio che mette nella giusta prospettiva i risultati di Fed Cup: grande impresa essere arrivati in finale, ma il vero tennis è quello degli Slam e di pochi altri tornei.
3. Nessuno lo sa come Roger Federer, per la cinquantesima volta in carriera dato per finito. Dopo l’Australian Open non ha in effetti combinato molto (e chi non l’ha vinto, allora? Diciamo Murray o Djokovic…), fra l’infezione polmonare che gli ha rovinato la preparazione per Indian Wells e Miami e una programmazione sulla terra che nel 2010 come non mai è stata finalizzata per il Roland Garros. Brutto, tranne che nel primo set con Gulbis, a Roma e grigio all’Estoril, il fuoriclasse sta sentendo la risalita anche psicologica di Nadal ma non è valutabile al di fuori dei tornei veri. Come tutti quelli veri, del resto.
4. Maria José Martinez Sanchez ci ha fatto perdere soldi importanti, ammettiamo di averla maledetta, ma anche regalato un tennis che con poca fantasia (e oltretutto sbagliando, perchè di donne con queste caratteristiche ce n’erano poche anche trent’anni fa) definiremmo di altri tempi. In parole povere, è l’unica fra le prime trenta del mondo a giocare serve and volley. Un serve and volley non estremo, va detto, ma comunque ripetuto e rispettato anche nei momenti più caldi dei match: quando nel primo set la Jankovic l’ha rimontata, la ventottenne mancina spagnola è rimasta se stessa. Non è un fenomeno, non lo è mai stata (quella corrente è solo la sua quarta stagione fra le prime 100 WTA), ma il fatto che sia diversa dalla massa la rende personaggio da seguire con affetto. Onore comunque alla Jankovic, che nei quarti ha inflitto a Venus Williams la più dura lezione della sua vita e che in semifinale ha sfruttato la concentrazione (e il diritto) a intermittenza di Serena.
5. La bella notizia è che dall’anno prossimo le donne potranno giocare a Roma con un pubblico numeroso non solo le ultime due giornate (quest’anno il torneo ha fatto registrare un meno 5% di paganti, mentre gli uomini un più 6), grazie all’annunciatissimo combined event che di fatto trasformerà l’unico grande torneo italiano in un mini-Slam. Quella brutta è che nella conferenza stampa di fine Internazionali il presidente della FIT ha anticipato che i giorni non saranno 10, come tutti si aspettavano, ma…8. Da domenica alla domenica successiva, creando una concentrazione di tennis impressionante e anche assurda. Il motivo è semplice: l’ATP non ha voluto cancellare i tre tornei confinanti, che potranno così sopravvivere mettendo la loro finale di sabato, e Roma non ha voluto per il momento fare un braccio di ferro. E’ chiaro che però il futuro è tipo Miami, magari con un tetto.
stefanolivari@gmail.com

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