Il fax di Messi

27 Agosto 2020 di Stefano Olivari

Il fax di Messi al Barcellona è qualcosa di clamoroso. Non perché il fuoriclasse argentino abbia manifestato l’intenzione di andarsene dal club blaugrana, dopo 20 anni, ma perché lo ha fatto con uno strumento, il fax, che credevamo ormai utilizzato soltanto da aziende disoneste che vogliono rendere quasi impossibile una disdetta. In realtà il fax di Messi era un burofax, cioè una sorta di fax certificato (non era meglio la Pec?), ma il discorso non cambia.

Il fax ha una data di nascita incerta e tanti inventori (quello più condiviso è il tedesco Rudolf Hell, nel 1929) ma molti antenati illustri già nell’Ottocento, su tutti il pantelegrafo del senese Giovanni Caselli. Certo è che fra tappe intermedie e migliorie il fax è diventato un fenomeno relativamente di successo soltanto negli anni Settanta e soprattutto Ottanta: per aziende, professionisti e più raramente per privati, visto che ancora nel 1987-88 (ne abbiamo memoria diretta) un modello quasi basic costava sui 6 milioni e mezzo di lire.

Ma al di là del prezzo, che in pochi anni sarebbe crollato, di quell’epoca ancora ci colpisce l’uso del fax, simile a quello che oggi facciamo delle e-mail. Lettere, appunti, disegni, messaggi scritti in maniera abbastanza sintetica. Fino al 1996 abbiamo spedito gli articoli via fax (prima ancora dettandoli). Un forma di comunicazione efficace ma non ossessiva, il fax, che stava per diventare di massa (chi si ricorda del ‘popolo dei fax’? In pratica i loro figli sono gli indignati perenni di Twitter) quando a metà degli anni Novanta internet uscì dalle università e dai laboratori militari per cambiare le nostre vite.

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