Il cane di Marisa Laurito

14 Febbraio 2011 di Oscar Eleni

di Oscar Eleni
Il buffet per gli arbitri, il fervore RCS, la media di Torino, i ristoranti anti-coprifuoco, il fosforo di Cinciarini, il rosa secondo Peterson, l’ispirazione di Vacirca, i colpi di Fucile, le ferite di Bodiroga e la barca di Pianigiani.

Oscar Eleni dalla Caina, dall’Antenora, dalla Tolomea dove si ghiacciano i traditori, dove puoi piangere lacrime che diventano lame per occhi mai aperti fra Bruto, Cassio, Lucifero, lasciando da parte tutti gli “ amici ”torinesi” che ci avevano detto di andare sul Po perché non vedevano l’ora di vederci. Da lontano, però. Ci stiamo bene fra i traditori del nono cerchio dantesco anche se sognavamo di stare incrodati sul Qualido, su quel granito da Spada nella roccia dove si sono arrampicati i Ragni di Lecco, meglio di noi che cerchiamo scuse per aver tradito i lettori di questo sito benedetto, meglio del presidente di Lega Renzi trattato malissimo dal suo associato più importante per una sala di ospitalità chiusa quando doveva dare ristoro, messo in croce dal capo degli arbitri Zancanella che non poteva accettare una risposta scortese sui mancati accrediti per ogni area da consegnare agli arbitri, non poteva fargliela passare liscia quando si è sentito dire che un buffet sarebbe stato allestito al centro del campo se proprio i signori con fischietto avevano fame e sete.

Parliamo però del nostro tradimento da Ugolino della Gherardesca: più dell’amore per il rapporto con chi legge ha vinto la fame di aspirine, birre consociate, notti magiche fatte di parole al vento. Volevamo scrivere ogni giorno, ma ogni sera ci sentivamo sfiniti e anche un po’ annoiati. Perché? Non riuscivamo ad entrare nella sfera gloriosa dell’evento, non avevamo il fervore RCS, la fede e la competenza del Dario Colombo che alla fine doveva farsi massaggiare i piedi stanchi da un mago cinese per capire cosa serviva per far andare in sincro i filmati su Rubini e Coccia, per accontentare tutti, per convincere tutti che serve più la passione della prosopopea come direbbe dal suo castello il Dorigo delle meraviglie creative, la costanza del gruppo legaiolo che ha lavorato sulla coppa Italia, cominciando dal nostro magico Luca Foresti, non riuscivamo a sintonizzarci con questi ragazzi del nuovo mondo, del nuovo emisfero organizzativo, non sapevamo come girarci fra tweed preziosi e facce imbronciate, gonne accorciate e sorrisi senza sorriso. Insomma eravamo pescioloni fuori dall’acqua, pronti per essere cotti e mangiati, altro che mettersi al piano per suonare.

Torino o cara. Ci devi stare più di una settimana per capirla meglio, certo quell’ascensore panoramico che ti manda fino al balcone della Mole, regalando una visione splendida della bella città avvolta nello smog come tutte le sorelle frittelle che si stanno uccidendo portando al sanatorio i loro abitanti, è un passaggio sul treno della vita che riscopri più al museo del cinema che a quello egizio dove, per ora, viene salvato quello che al Cairo non sanno più dove nascondere. Torino e i trentamila in quattro giorni. Una bella media di pubblico in un palazzo italiano, progettato alla giapponese, con affettuose sarabande di ragazzi che amavano scoprire il meglio di uno sport che, per molti di loro, non è mai stato da prima pagina nel regno dove sarebbe bastato un sorriso di casa Agnelli per dare alla città molto più che uno squadrone femminile.

Traditori, ma con appunti e allora vi leggiamo quello che ci siamo portati dietro nelle notti di veglia,
con bruciori di stomaco, mitigati soltanto in parte dal compiacimento di aver potuto parlare con il cane di Marisa Laurito e con la splendida cuoca attrice di Arbore nel ristorante aperto fino alle cinque del mattino, una meraviglia per chi si è abituato, ormai, a città con il coprifuoco o a zombi notturni che schiamazzano e pisciano controvento in posti dove non arriva mai un vigile o la polizia. Era un piacere ritrovare una movida culinaria, senza eccessi, senza canti da osteria, un posto certo migliore di quello dove sono andati ad annegare la tristezza per l’eliminazione in coppa Italia certi giocatori dell’Armani, quelli che ai funerali arrivano in macchine superpotenti e posteggiano dentro il sagrato della chiesa. Ma torniamo agli appunti.

Giovedì 10 febbraio: prima di andare a Torino siamo in tanti nella chiesa di Sant’Eustorgio per il funerale di Cesare Rubini.
Vedi Pedro Ferrandiz arrivato da Madrid, vedi i giocatori Armani ma non il loro presidente, vedi una corona del Comune, ma non i rappresentanti dello stesso. Ci bastano le belle parole di Gianni Petrucci, le lacrime sincere, ma solo alla fine quando tutti se ne erano andati, del grande Silvestri alpino dell’anima, ci bastano i ricordi e fingiamo di non leggere nulla sulla faccia di chi era stato precettato per l’omaggio. Via verso Torino. Palazzo troppo grande per 4000 persone. Sembra tutto vuoto, anche sul campo, perché Siena ha tutto il diritto di usare il contagocce per i suoi leoni che pensano all’Europa anche se hanno sempre fame di cibo italiano. Non parliamo della farsa Virtus contro Montegranaro dove, perlomeno, Andrea Cinciarini folgora chi cerca un ragazzo con fosforo per Azzurra. Ci fa piacere sapere oggi che anche Pianigiani, stuzzicato da chi si strappa le culottes, pensando al giocatore italiano ignoto, abbia notato il ragazzo pesarese cresciuto in esilio e diventato bravo abbastanza per farci illudere che forse potremo usare lo spot per il naturalizzato in un ruolo diverso da quello del regista. La notte è col cane della Laurito, con Scrapizza, con gli attori che lasciano la scena e vengono a rifocillarsi dove noi litighiamo persino con chi urla a voce alta che la formula è sbagliata. Ne siamo convinti, ma chi li smuove quelli della Lega che adesso stanno preparando l’eutanasia di un amore televisivo cercando partner come capita alle squadre di calcio, ma anche di basket, che incrociano presunti mecenati venuti da altri mondi, televisioni piene di telecamere al sale grosso.

Venerdì 11 febbraio: si respira aria migliore al Pala Isozaki e sulle tribune arrivano più di 8000 spettatori. Non riempiono come piacerebbe a chi guarda solo dalla TV, ma c’è mondo, c’è atmosfera,
non ci sono risse da minoranze inascoltate come la sera prima, quando quattro urlatori che al massimo mettono insieme cori da foro boario hanno richiamato l’attenzione delle forze dell’ordine. Avellino manda sul rogo Dan Peterson vedovo inconsolabile dell’Olimpia che fu anche se poi il Nano continua a dire che vede soltanto il rosa della vita e dell’Armani: giocatori d’oro, assistenti meravigliosi, un presidente da sballo, compagni di viaggio che sono il meglio per uno rimasto fuori di casa 24 anni. Noi ci godiamo le risate e l’ironia un po’ gondoliera del Tonino Zorzi che respira bene in terra di lupi anche se non c’è tanto da mettere in tasca. Pazienza. Si vive pur sempre una sola volta e allora godiamoci certe vendette, certe rivoluzioni degli affetti. Bravo Vitucci, bravi tutti i giocatori di Avellino e quei ragazzi dell’Irpinia partiti in pullman alle 4 del mattino che potevano inneggiare al loro idraulico polacco, al Marques dal pantalone che sfiora le scarpe di gomma, che potevano risparmiarsi l’analisi toccata ai sostenitori sparsi dell’Armani impegnati a farsi guardare negli occhi dal Proli furente, in ginocchio davanti alla nuvola dove si era addormentato pollicione Pecherov, dove Greer e Hawkins ancora discutevano su come potevano rovinare il gioco degli altri mentre Rocca e Mordente si sentivano gladiatori da circo di provincia. Un piacere guardarsi la curva Cantù e quella di Biella. Piene, ribollenti, da grande evento. La Bennet fa comprendere persino ad Atripaldi, uno da inquadratura fissa di SKY, uno in lotta stretta con il Sabatini Virtus per il primo piano ovunque si “nascondano”, che la squadra di Trinchieri è più forte della sua Biella. Viene a dirlo alla stampa. Ce ne eravamo accorti anche quando

ha ballato sul cadavere di Treviso e su quello molliccio di Milano.

Sabato 12 febbraio: le semifinali meritano la massima attenzione anche se il Vacirca creativo che sembra sfuggire alle logiche di Montegranaro ci fa scoprire,
a me e al Pea ululante per la visita nella sede santuario della sua Juventus, le meraviglie di Eataly, un regno senza confini per la gola, la fantasia, la cultura del vivere oggi e del morire contenti. Montegranaro è l’unica con un tocco gentile per il giornalismo costretto a vivere di stenti perchè ai ragazzi di oggi, anche quelli bravi, bravissimi, danno contratti a tempo e compensi da 10, 12 euro. La Sutor ha fatto davvero le scarpe al mondo di fuori, una carezza ed un bacio, una zuppa di farro con carciofi, un pane speciale, un tartufo di cioccolata, ma soprattutto l’occasione per parlarsi. Dicono che Vacirca andrà altrove. Bene per chi lo troverà ispirato, male per chi lo perde. Ci siamo sempre chiesti perché Milano non abbia mai puntato su questo architetto degli interni caldi, su questo poeta che urla alla vita e all’esistentza. Poi abbiamo pensato a chi avrebbe dovuto farlo ed abbiamo capito tutto subito, così come ci sembra logico che Pesaro abbia chiesto a Milano il prestito di Melli in modo che un futuribile per Azzurra possa lavorare sotto controllo.

Dicevamo della Sutor che non può farcela contro Siena perché soltanto Cinciarini osa dove non potrebbe, perché Ford non ci crede dal primo salto. Pianigiani ringrazia e tira dritto presentando Aradori in quintetto per farci capire che il truzzo progredisce, ma, anche, che ci vuole molto tempo per ripulire la mente di chi pensava, come troppi altri, che per riuscire, bastino un buon tiro ed un buon agente. Nell’intervallo fra le due partite ci godiamo il Cinema Paradiso di Manfredo Fucile, ex tiratore che faceva onore al nomen, presidente del comitato regionale campano, caro Meneghin vai a cercare questi e non gli avvelenati che falciano l’erba e servono cifre demenziali a chi, giustamente inorridisce, se vede che in tempo di crisi sono sempre pernici, insomma Manfredo e le sue storie con vecchi compagni a cui è rimasto legatissimo, da Williams a Carlos D’Aquila. Lo cercheremo per andare più avanti nella ricerca, anche se questo spetterebbe a chi ci detta le regole del mondo nuovo dall’unico settimanale in circolazione, sperando che resti sempre in circolazione perché è nutrimento per chi ha una fame di notizie sul mondo che sembra sparire sotto i piedi.

Nella seconda semifinale ci entriamo dopo aver abbracciato Bodiroga che stuzzica con il sale dell’ironia e dell’intelligenza ferite appena aperte:
“Non ditemi che per far tornare Milano a vincere qualcosa devo rimettermi a giocare”. No, caro Dejan, basterebbe che venissi per fare quello che la setta dei vincitori estinti romana ti ha impedito di fare così come tenta oggi rendendo ancora più difficile la battaglia di Boscia Tanjevic. Dunque semifinale con Cantù che gioca davvero come si chiede a squadre allenate con criterio e costruite con saggezza. Avellino non può avere le stesse energie del giorno prima, e anche lei, come Biella, scopre che un conto è andare a sciare sul Mottarone e un altro a Kitzbuhel. Leunen una meraviglia, Mazzarino un tremendo finalizzatore.

Sulla finale ci sarebbe tanto da dire, cominciando dal fatto che non abbiamo capito bene perché i tre arbitri migliori, Lamonica, Sahin e Facchini, erano ai margini.
Cose di Zancanella, di Colucci, di chi sceglie. Noi però amiamo il meglio e ci dispiace non vederlo nell’atto decisivo. Gruppo da 10: Pianigiani e chi se no, non tanto per lasciarlo senza armi nel contenzioso su simpatie e su chi è più affezionato ai Tanjevic della vita, ma perché ha portato la barca sulla spiaggia dei Feaci senza perdere marinai come Ulisse. Adesso lo aspettano Itaca e una euro Penelope. Trinchieri che ha fatto tutto bene e non si aspettava il male di Begnis per quel gattone di Micov che ha scelto proprio una finale per farsi dare il primo tecnico in carriera. Non ha perso per quello, ma di sicuro ha perso il giocatore nella fase in cui era più importante. Super voto a Lavrinovic e Leunen. Ma noi insistiamo su Stonerook che maschera per tutti, anche per se stesso perché non è al meglio e sente arrivare la colata incandescente dell’eurolega. Voto alto a Carraretto per dire ai fanfaroni che se hai quelle palle smerigliate giochi ovunque, se hai cercato la vita altrove è giusto che oggi possa avere molto più di una pizza da portare a casa. Non chiediamo perdono se ci fermiamo qui. Volendo torneremo, appena la memoria sarà stata riattivata come succede a Gay Talese, scrittore che racconta la vita e lavora su un computer molto, molto vecchio. Lode al Petrucci che nelle convocazioni dei presidenti federali non bada alla gentilezza come si chiede nella raffineria politica. Uno che ha meritato questi anni di potere e di presidenza e non perché ha amici che contano di qua e al di là del Teverone.

Oscar Eleni

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