I rimpianti dell’avversario perfetto

3 Aprile 2007 di Stefano Olivari

CAMPIONE – Possiamo dire di avere assistito con soddisfazione alla prima vittoria in un Masters di Novak Djokovic: avevamo puntato sua sua completa esplosione quest’anno ed il fatto che arrivi a vincere uno dei tornei più importanti del circuito a 19 anni (solo Agassi aveva fatto meglio di lui) non è una sorpresa. Con soddisfazione, dicevamo, e per due motivi: del secondo parliamo dopo, per il primo invece torniamo alla semifinale, cioè a quel 6-1 6-0 con il quale Djokovic ha asfaltato Murray. La differenza tra i due c’è e si vede, anche se – ovviamente – non così netta. Chi ha scommesso sullo scozzese insomma deve aspettare ancora un po’, chi invece ha puntato sul serbo deve solo stare ad ascoltare le sue parole: “Mi sono sempre paragonato ai numeri uno perché è questo che un giorno voglio essere. Ora mi sento allo stesso livello dei grandi e so che Miami è solo il punto di partenza”. Federer (ma non solo) è avvisato. IL SOSPETTO – Il secondo motivo di cui sopra è ovviamente Canas, oggetto anche dell’attacco di Ivan Ljubicic nel dopopartita della semifinale. Intendiamoci: certe cose (“dare una wild card a un dopato è come dare una pistola a un assassino”) il croato doveva dirlo prima di perdere e in altro modo. Però, per Canas, il problema esiste: il suo caso di doping ha ancora dei contorni misteriosi (un farmaco datogli da un medico Atp, ma era un diuretico per un attacco di tonsillite), il suo ritorno è stato accolto da scetticismo. Federer ci ha perso due volte ed è stato come al solito signore, ma non per questo non si può credere che non la pensi come Ljubicic e come molti altri. Insomma: Canas probabilmente è una vittima, probabilmente è pulito, probabilmente vincerà il Roland Garros. Ma non potrà mai battere i sospetti. NON E’ VERO MA… – Qualcuno dice che Potito Storace abbia perso subito a Miami per poter correre a Napoli, dove lo aspettava un challenger sulla terra rossa, un cospicuo ingaggio e un tabellone che lo ha portato a vincere in finale contro El-Ayanoui (al momento della premiazione, per l’entusiasmo è crollata una tribunetta). Qualcun altro dice che Nadal si è arreso facilmente a Djokovic quando ha capito che non era giornata e il tutto per non concedere un vantaggio ulteriore a Federer che già da due giorni si allenava sul rosso. Ovviamente non è vero, nel primo e nel secondo caso. Possiamo mai credere a una cosa del genere? LA REGINA – “Non c’è nessuna nel circuito in grado di battermi”. Serena Williams archivia così il trionfo di Miami, arrivato proprio quando sembrava dovesse inciampare in finale contro la Henin. Sotto 0-6, 4-5 e con due match point annullati, la pantera ha tirato fuori i soliti artigli e ha chiuso 6-3 al terzo finendo per dire quello che ha detto. In realtà chi può darle torto? Certo il loro ritorno nel 2007, quello di Serena e papà Richard visto che Venus ancora arranca, non è salutato con troppa gioia: si sussurra, ad esempio, che nel match contro la Sharapova Richard abbia detto alla figlia di giocare sul colpo migliore dell’avversaria, un po’ per allenarsi, un po’ per allungare l’agonia di Maria. Malignità certo, che però non fanno che ingrossare la schiera degli anti Williams. Eppure è un peccato, perché Serena è davvero una campionessa e perché – a modo suo – è anche simpatica. Ed è comunque la numero uno, senza dubbio. LA SPALLA PERFETTA – A gentile richiesta dell’amico-lettore Luca parliamo di Sjeng Schalken, l’olandese che a 30 anni ha deciso il ritiro a causa di un infortunio serio al tendine d’achille. Ne parliamo perché Schalken, dopo un inizio di carriera abbastanza anonimo, ha vissuto dal 2001 gli anni migliori, pur crescendo nell’era dei tennisti-robot, con un gioco pulito e da vedere. Sjeng ha avuto – si diceva- il suo massimo splendore dai 25 anni in su, arrivando nel 2001 a chiudere la stagione sull’erba con un record di 12 vinte e 2 perse, secondo solo al 14-0 di Hewitt, allora numero uno del mondo. Proprio da Hewitt, futuro campione, ha perso ai quarti di Wimbledon un match che conduceva due set a zero e due break di vantaggio nel quinto, e nello stesso anno ha finito in semifinale l’avventura agli UsOpen contro Sampras, anche lui poi con il trofeo in mano. Nel 2003 poi, sempre a Wimbledon, si è confermato la spalla perfetta dei vincitori perdendo nei quarti contro Roger Federer e la stessa cosa poi di nuovo è accaduta a Flushing Meadows contro Roddick negli ottavi. Insomma, l’avversario perfetto dei campioni, capace di sviluppare un gioco semplice ma divertente e caratteristico (era il suo, quello strano servizio in più tempi). Lui si è sempre schermito: “So di giocare un tennis noioso, anche se altri lo chiamano solido…”. Eppure, anche se non un campione, Schalken è stato uno di quelli che alla fine si rimpiangono.

marcopietro.lombardo@ilgiornale.it

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