Doves eravamo rimasti?

10 Ottobre 2007 di Roberto Gotta

1. C’è da sperare che commentando il finale sorprendente di Bills-Cowboys, con la rimonta dei texani nell’ultimo minuto dopo una partita che li aveva visti sempre in difficoltà, nessuno si sia lasciato andare al luogo comune del “può accadere solo nel football”. E’ mania dei propagandisti di ogni sport ritenere che la disciplina di proprio interesse abbia caratteristiche che nessun’altra possiede, ma è una panzana: rimonte improvvise ed inattese possono verificarsi praticamente in ogni sport, e sottolinearle vuol dire solamente mancare al dovere giornalistico d’imparzialità.
2. A proposito di Bills-Cowboys, era il Monday Night Football, che tornava al Rich Stadium dopo 13 anni, nei quali Buffalo non era stata ritenuta degna di ospitarne uno (senza peraltro che ci siano state interrogazioni parlamentari di sfaccendati). Il fenomeno MNF continua a colpire, anche se i dati non sono più quelli di una volta, in linea con il calo di audience di tutti gli sport in televisione: la partita di lunedì ha ottenuto un rating di 10.0, ovvero è stato visto in 9.639.000 famiglie americane diventando la trasmissione via cavo più seguita del 2007, dietro a High School Musical 2 di Disney Channel, che ha però avuto più spettatori complessivi di media (17.241.000 contro 13.028.000). Inoltre, le pagine NFL viste del sito www.espn.com sono cresciute nel 2007 a 54 milioni, un incremento del 56% rispetto a dodici mesi fa. Lanciato come idea rivoluzionaria nel 1970, MNF è uno degli eventi di culto della televisione americana, trasmesso su ABC per anni ed ora arricchito da una serie di pranzi di gala che si svolgono nelle città sedi delle partite poche ore prima del kickoff, a completare l’esperienza (anche se solo per i vip). Il successo di MNF, con le sue splendide sigle musicali cantate da Hank Williams Jr, artista country rock e figlio di uno dei pionieri del country folk, Hank Williams, è così cruciale che le reti che lo hanno trasmesso (sempre della famiglia Disney, peraltro, cui appartengono sia ABC che ESPN) possono decidere di cambiare commentatori di anno in anno se non sono certe che la combinazione dei – tradizionalmente – tre telecronisti sia perfetta. Qualche anno fa si era percorsa la strada dell’ironia ospitando tra due giornalisti “veri” il comico Tennis Miller, stavolta Joe Theismann, ex grande quarterback dei Washington Redskins e da anni commentatore, è stato a sorpresa rimpiazzato da un ex avversario sul campo, Ron Jaworski, che esegue l’analisi tecnica sul commento di Mike Tirico, con Tony Kornheiser, giornalista del Washington Post piuttosto noto per varie trasmissioni televisive in cui non si tira indietro nell’essere estroso, a dare una nota di colore fin qui abbastanza gradita.
3. Due quarterback sono fuori per tutta la stagione: Matt Leinart di Arizona e Jake Delhomme di Carolina. Il primo ha subito la frattura della clavicola sinistra mentre veniva atterrato da un difensore, il secondo si opererà al gomito destro, vittima di uno stiramento due settimane fa, e la prognosi è di 7-9 mesi. Arizona impiegherà Kurt Warner, che del resto aveva già giocato parecchio entrando al posto di Leinart in situazioni di no-huddle, ovvero quando si giocano alcune azioni consecutive senza la riunione per decidere o comunicare lo schema. Carolina dovrà invece impiegare David Carr, l’ex Qb di Houston, ma anche nel suo caso ci sono problemi fisici. Non è finita, per i Qb (e non solo): Trent Green, di Miami, effettuando un blocco basso su Travis Johnson di Houston nella sconfitta 19-22 di domenica scorsa è stato colpito da una ginocchiata dello stesso Johnson ed ha riportato un trauma cranico di tipo 3, ovvero il più grave. Dal momento che è il secondo trauma del genere in due anni, si ritiene che Green, 37enne, possa avere concluso qui la sua carriera: specialmente alla luce delle maggiori attenzioni che da questa stagione la NFL dedica a quel tipo di infortuni. Green verrà sostituito da Cleo Lemon, che probabilmente sarà il Qb titolare quando il 28 ottobre i Dolphins affronteranno i New York Giants a Wembley, Londra.
4. Molto inquietante quel che un dirigente di club che ha voluto rimanere anonimo ha confessato a Peter King, l’ottimo editorialista NFL di Sports Illustrated e HBO. King aveva ripreso un articolo di espn.com in cui era stata evidenziata la fretta con la quale la NFL aveva immediatamente distrutto tutti i filmati e le note acquisite nel corso dell’investigazione sullo “spionaggio” operato dai Patriots nella partita inaugurale contro i Jets: come mai tanta frenesia, una volta inflitta la multa al coach Bill Belichick e ai Pats, come se quei filmati nascondessero qualcosa di imbarazzante al di là del fatto contingente di una gara contro i Jets che New England vincerebbe anche senza sforzarsi? «Da quello che ho sentito, è meglio per tutti nella NFL se questa storia viene dimenticata al più presto». Parole del genere naturalmente ottengono l’effetto opposto, e King, come già il pezzo di espn.com, si chiede cosa ci fosse in quei nastri. Se non c’era nulla di pericoloso, perché distruggerli? E se c’era, era per caso legato ai tre Super Bowl vinti dai Pats dal 2002 al 2005 sotto Belichick, tutti – viene fatto notare – con margine di vittoria minimo, tre punti, per il quale anche un piccolo aiuto illegale può essere stato decisivo? Odiamo le teorie del complotto, ma quella frase del dirigente NFL è preoccupante.
5. Dispiace dirlo, ma lo spot pubblicitario della NFL su Sky ci sembra molto banale e inutilmente impregnato di spirito eroico. Parlare di vivere o morire, anche se congruente con le sciocchezze che a volte dicono i coach per motivare i giocatori, non ci pare opportuno.
6. College: un po’ di casino a Texas Tech, dove uno studente appartenente ad una delle confraternite “greche”, Geoffrey Candia della Theta Chi, ha stampato e messo in vendita prima della partita contro Texas A&M magliette in cui veniva raffigurato sul retro un giocatore con il numero 7 di Michael Vick che teneva in mano una corda all’estremità della quale, in un cappio, vi era Reveille, il cane mascotte degli Aggies. I vertici di Tech si sono infuriati, sospendendo la confraternita ed imponendo la cessazione della vendita, visto che la maglietta era contraria ai principi di onore, rispetto, orgoglio e tradizione che proprio quest’anno il responsabile sportivo di Tech, Gerald Myers, voleva proporre.
7. Rachel, figlia di Terry Bradshaw, lo storico Qb dei Pittsburgh Steelers dei quattro Super Bowl vinti negli anni Settanta, partecipa ahimé ad un reality show, o meglio ad una sorta di documentario-realtà che segue le fortune di alcuni aspiranti cantanti country, e non per nulla si chiama Nashville. Bradshaw, che quando giocava era considerato personaggio di intelligenza – come dire? – non sfolgorante (“non individuerebbe la parola cat neanche se gli indicaste la c e la t” disse una volta di lui un avversario), da commentatore televisivo è spesso parso estroso ai limiti della bizzarria: ospite di Jay Leno al Tonight Show qualche settimana fa, poi, si era dimenticato di tirarsi su la chiusura lampo dei pantaloni e solo l’intervento di Leno ha impedito una situazione davvero imbarazzante.
8. Un po’ di storia? Un po’ di storia (tanto decidiamo noi), proprio a proposito di Bradshaw, qui peraltro incolpevole. Durante un Monday Night Football nel 1971, partita Steelers-Chiefs, finita 16-38, Bradshaw lanciò un perfetto passaggio per il ricevitore David Smith, che corse solo verso la end zone, ma si confuse e credendo di essere già in touchdown sbatté la palla per terra in segno di festeggiamento sulla linea delle 5 yard. Il pallone rimbalzò fuori dal campo oltre la linea posteriore della end zone stessa (“touchback”), e dunque il possesso tornò ai Chiefs sulla linea delle 20 yard.
9. Gli anni Ottanta hanno rappresentato il periodo di maggior diffusione e popolarità del football in Italia. Il numero di squadre aumentava in maniera inarrestabile, andando spesso anche contro la razionalità, perché che nascessero 4-5 formazioni

diverse in località poco distanti l’una dall’altra, e non popolarissime, era un controsenso elefantiaco di cui si sono poi pagate le conseguenze nel periodo del riflusso, pesantissimo. Nel 1986 lo stadio Dall’Ara di Bologna ospitò oltre 25.000 spettatori per il Superbowl italiano, vinto dai Warriors Bologna sugli Angels Pesaro, e fu il momento più alto nella storia di questo sport, che presto prese una china negativa. Vittima, tra le altre cose, di un gigantismo sproporzionato alle proprie forze. In quegli anni Ottanta alcune città erano state all’avanguardia, e tra queste proprio Bologna: i primi a darsi una struttura compiuta erano stati i Warriors, seguiti nel 1982 dai Doves, le colombe, così chiamati perché subito bravi ad assicurarsi l’appoggio della Stiassi, notissima ditta di cancelleria situata nella parte occidentale della città, che aveva tale simbolo e fu parte integrante della fondazione. Il dualismo era stato immediato, come capita sempre nelle piccole realtà sportive e non: o eri un Warrior o eri un Dove, senza peraltro che la distinzione obbedisse a criteri netti come era stato un tempo – non più ora, nonostante le pretese di nobiltà di una delle due parti – tra Fortitudo e Virtus nella pallacanestro. Derby memorabili che riempirono lo storico stadio Lunetta Gamberini, quello che si vede a sinistra dal treno arrivando ora a Bologna da Firenze, una manciata di minuti dopo l’uscita dall’Appennino. L’aspetto che ai tempi rovesciò temporaneamente le gerarchie cronologiche fu che i Doves arrivarono alla conquista dello scudetto con un anno di anticipo rispetto ai loro rivali che pure erano nati prima: nel luglio 1985 lo stadio Appiani di Padova era praticamente pieno per la finale Angels-Doves, e questi ultimi prevalsero guidati dal running back Garry Pearson. Una parte del mondo del football tentò di rifiutare moralmente il titolo dei Doves perché, si diceva, senza Pearson a toccare palla in ogni azione o quasi la squadra non avrebbe avuto un rendimento così alto, ma erano sciocchezze dettate da invidia, visto che poi negli anni successivi non poche furono le squadre che arrivarono allo scudetto con metodi simili, per cui non si vede perché isolare come reprobi i bolognesi. I quali, nella crisi che sfregiò poi il football italiano negli anni successivi, finirono anche con il fondersi con i Warriors, fusione non molto fortunata come tutte le manovre del genere. Ora, qualche anno dopo i rivali, dotatisi di una buonissima struttura organizzativa, sono rinati: venerdì 5 ottobre si sono presentati al pubblico i componenti dei Bologna Doves srl, nuova-vecchia società che intende ripercorrere la strada intrapresa oltre vent’anni fa, con alcuni dei giocatori di allora a ricoprire ruoli dirigenziali e Marco Panichi (a sinistra nella foto, insieme al presidente Giacomo Giovannetti), ex uomo di linea di attacco, ad allenare la squadra, con l’indiscutibile ricchezza di un curriculum unico che parla di quattro scudetti vinti con tre squadre diverse, da coach. Una curiosità: nell’organigramma dei ‘nuovi’ Doves c’è anche l’ex azzurro, ora commentatore, di basket Marco Bonamico nella veste di vicepresidente. Sabato 6 poi è stato celebrato il D-Day, il Doves Day, con derby a livello Under 17, esibizione di flag football contro gli Apaches, sfida Under 21 contro gli Skorpions Varese. Pronti, insomma.

Roberto Gotta
chacmool@iol.it
http://vecchio23.blogspot.com

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