Attualità
Datome per capire
Oscar Eleni 29/06/2020
Oscar Eleni sul carro dei sogni per arrivare nel ventre del Monte Verità, Canton Ticino, comunità di liberi intellettuali, danzatori, filosofi, poeti. Un paradiso anarchico che sfugge a qualsiasi lega, partito, presidente federale, capo del mondo sportivo, al caos del Tutti zitti, stiamo lavorando. Per chi? Sarebbe bello saperlo, ma è meglio seguire questi ribelli che non stanno in coda cercando un mare che sia diverso da Acapulco, dove hanno pensato bene di far cadere nell’acqua l’oro nero.
Qui al Monte Verità si balla nudi e per questo li chiamano i balabiòtt, capaci di tenersi per mano, sfuggendo alla brutalità del caporalato, alla crudeltà che ti fa sgozzare i tuoi figli per vendetta contro una madre in fuga, lontanissimi dai diavoli di una crisi di valori che non vedi se stai in coda sulle autostrade cercando un tuo mare, se dai retta a chi dà sempre la colpa agli altri come se questo Paese fosse davvero innocente, pensava di esserlo persino davanti alle vetrine con su scritto Negozio ariano.
Lasciamo perdere, non vedi che giocano al pallone? Lo vediamo, non lo sentiamo, per fortuna, meglio ascoltare il trio Vieri-Adani-Ventola che canta bene, anche se il sogno di chi organizza è di farci diventare come gli omini robotici che vanno in campo prima dei calciatori veri, alcuni dei quali meriterebbero il dileggio che Omar Sivori, memoria di Carlo Grandini, mostrava scuotendo il cabezon a Busto Arsizio vedendo un terzino della Pro Patria allenarsi calciando la palla contro il muro senza mai ritrovarla. “Per me non c’è più posto”, diceva il mancino del diavolo.
Poi se la prendono con gli allenatori. Certo qualcuno sta bene fra i palloni gonfiati, ma, accidenti, molti di questi nel silenzio rivalutano alla grande Egidio Calloni e i balabiott che non inquadravano mai la porta, non fermavano mai un avversario. Dopo mesi qualcuno ha detto che la vera Juventus di Sarri sarà quella senza Ronaldo. Figurarsi se gli daranno questa possibilità riabilitativa anche se è pur sempre primo in classifica.
Scriviamo con invidia, da cestomanti chiusi fuori, di questo calcio che si avvelena con dosi massicce di VAR non utilizzabile, provando persino gratitudine per chi obbliga i giornali (i favori a chi ti farà favori, legge arcaica del clientelismo anche critico) a guardare persino dentro il canestro per i colpi di mercato delle grandi che fanno capire alle piccole l’ovvio: andare in una serie A così squilibrata non ha senso. Meglio risparmiare in A2, costruire qualcosa che resti nel tempo, non squadre usa e getta.
Il Petrucci che si complimenta con una Nazionale, quella elettronica, che cambia allenatore alla femminile ridando a Lino Lardo la vetrina che merita, smania cercando vetrine non a luci rosse. Fa bene, è il suo ruolo anche se facciamo fatica a capire se può essere vero che O presidente, in armi contro la politica dei sordi insieme al volley e alle federazioni calpestate già prima della pandemia, avesse in mente proprio questo ligure dalla carriera importante nel settore maschile.
In passato era andata bene, da Primo a Sales, passando per Arrigoni e Benvenuti. Speriamo. Perché dubitare della competenza tecnica di chi all’inizio scambiava, come disse Giordani, l’apparecchio dei 30 secondi per stufette elettriche? Nel tempo ha imparato, più che studiato, crescendo con allenatori che gli hanno indicato una strada, alcuni anche una linea politica che, purtroppo, non è stata ascoltata, se i nostri vivai sono allevamenti di polli in batteria.
Maledetti spagnoli che ci fate sbavare con un finale di campionato davvero sorprendente dove è rimasto fuori il Real Madrid di Facundo Campazzo. Sono dentro i ribelli allenati, sarà un caso, da due della santa scuola slava, con Pesic, forse al canto d’addio col Barcellona, contro un vero balabiott come Dusko Ivanovic che sembra aver riaperto una strada per Achille Polonara in Baskonia, altra terra ribelle come quella catalana. Peccato per gli eroi di Burgos eliminati dai blaugrana del superbo Mirotic che, al momento, sono tenuti quasi più in considerazione dei calciatori visto che Messi non basta a tenere la coda del Real.
Qui da noi, dicono, non si poteva andare in nessuna arena anche se qualche campo decente lo hanno costruito. Un caso, si capisce, roba per farsi vedere in giro, magari come sul ponte di Genova rifatto bene, ma sempre chiuso. Molti dicono che ha vinto di nuovo don Abbondio. Probabile. Non era questo tempo per riforme capaci di ridare al nostro basket connotati di vera scuola? Quindi tutti i nati qui, tutti quelli a cui siamo riusciti a dare aiuto fra le onde delle moto d’acqua dei caporioni che con un voto al giorno ti vorrebbero togliere di torno.
Mentre facciamo gli auguri a Toto Bulgheroni che al basket ha dato davvero tanto, dinero y corazon, ci domandiamo se non è troppo largo il fiume che ora separa Milano, Virtus Bologna, Venezia dalle altre, compresa Sassari, anche se siamo sicuri che Sardara, dopo i bicchieri infranti nella “finta lite” con Pozzecco sarà pronto a combattere come Brindisi, Varese, Cantù, Fortitudo, speriamo Trieste e, perché no, Pesaro, nella speranza che possa dare a Repesa una squadra decente se è vero che lo pagheranno non tantissimo come dicono quelli che preferivano giovani leoni a vecchi maestri.
Vero che nella storia è andata quasi sempre così, dagli imperi di Simmenthal e Ignis, ma adesso manca questa eguaglianza almeno di passioni e di possibilità economiche. Se hai venticinque, trenta milioni di euro, anche venti o quindici, chiaramente sei distante da tutto e da tutti. Vero che i soldi non fanno canestro, però resta la distanza delle rive. Chiaro che il più avvelenato è Messina, sicuro che il più arrabbiato è Djordjevic, certo che il più sereno resta De Raffaele, ma questo resta un viaggio nel mistero.
Milano si è rifatta il trucco. Due squadre, campionato ed eurolega, porte chiuse o aperte non conta. Messina dice che tutti i naviganti in maglia Armani sono stati avvertiti sul minutaggio in campo. A fine luglio cominceranno i lavori. L’unico consiglio a tutti è di cercare gente con motivazioni, avere il lusso non basta, un po’ di fame migliora tutto, anche in allenamento. Magari se lo ricordassero i cirenei che stanno sui ghiacci, nel tennis lontano da Djokovic, nell’atletica che dovrebbe chiedere a tutti fatica e non cinema.
Per capire basterà vedere i primi passi del Gigi Datome, capitano di Azzurra Fremebonda mai contenta e medagliata, sotto il cielo di casa Armani. Dopo sette anni torna da noi che temevamo volesse davvero chiudere la sua bella storia in Giappone dopo aver mangiato anche nel regno NBA. Si merita affetto. Darà un volto da ricordare davvero nell’hotel superlusso della nobil casa dove sono passati in tanti lasciando tracce che sembravano moccio di draghi sfiatati.