Atletica
Contro lo sport per anziani
di Oscar Eleni
Pubblicato il 2020-08-31
Oscar Eleni sotto l’acqua turchese delle cascate messicane di Huasteca Potosina prima di leggere l’ode al mare di Pablo Neruda. Lui ci accompagnerà in cabina elettorale, per un referendum, una scelta politica, una nuova presidenza federale, dopo averci spiegato perché sulla pandemia, che per i greci era amore e non malattia, troppa gente, dai finti servitori del popolo egli illustri tromboni della medicina e dintorni, sembra davvero di essere sull’isola del grande cileno.
Siamo bombardati da messaggi fasulli, i più cattivi si scusano con il mondo e danno da mangiare ai piccioni, comprensivi con chi ruba, evade, truffa, brucia, investe e scappa, vende fragole spalleggiato da caporali non bocconaìiani, tradisce, cambia maglia, partito, amante, molto meno con quelli che si sono trovati in mano la patata bollente di un paese ingovernabile, in una fase di finta solidarietà, aspettando con paura che riaprano le scuole. Il mare sull’isola di Neruda non ci aiuta perché anche lui dice che sì, dice che no.
Forse saremo tutti d’accordo soltanto sul motore scoppiato della Ferrari, macchina dei desideri magari per calciatori arroganti come quel tipo che in Grecia ha preso un sacco di legnate dalla polizia e si è giustificato, per la reazione, con il fatto che c’era sua figlia piccola di mezzo e che certo non capiva l’etilometro impazzito per il babbo beone. Per il resto dicono che sì, i palazzi dello sport vanno aperti, gli stadi riempiti almeno in parte, ma poi arrivano gli esperti che ci urlano nelle orecchie: non fate come nelle discoteche.
Parole al vento con mascherina esibita e calpestata come quella del nuovo genio laburista inglese in collegamento telefonico con gli arancioni del mondo, delle prostatiti da Covid, con i nostri guru avanti nei sondaggi, anche se in tanti ci domandiamo perché a noi non ha chiesto niente nessuno, forse lo farà anche Biden negli Stati meno Uniti di sempre scoprendo che Trump il tronfio è in rimonta.
Forse che sì, forse che no, ci diciamo mentre Rondelli organizza il miglio lombardo con Crippa alla caccia del record italiano di Genny Di Napoli sulla stessa pista di San Donato, certo a Milano vista l’Arena e il XXV Aprile sarebbe tutto più difficile, come cercherà di farmi capire Fabio Monti badante paziente per anziani sperduti. Forse sì, è bello ritrovare atletica in diretta televisiva, scoprire qualche bel giovane, da Fabbri alla Iapichino, accettando tutto, convinti che Tamberi e Tortu avranno il meglio dai loro padri allenatori, anche se il primo può dire di aver quasi risolto i problemi, mentre il secondo si trova nella strana terra dove le luci cambiano spesso: qui il sole, appena fuori la penombra e magari la tempesta.
Meglio che ci sia da discutere. Magari non facendo caso alle pagine che devi sfogliare sul cartaceo per arrivare alla rubrica atletica. Colpa nostra. Mentre giravamo disperati a Milano, cercando edicole aperte, chi aveva la mano giusta sul computer e tutti gli altri apparati della modernità informativa ci rideva dietro, persino un lettore accanito come Bruno Arrigoni che con Della Fiori e Pancotto sta vedendo nascere nel giardino antico di casa Allievi una Cantù interessante.
Forse che sì, forse che no, dice il basket tornato sugli schermi grazie ad Eurosport, mortificato dall’assenza della RAI nelle aste per acquisire i diritti di trasmissione, ferito nell’orgoglio per il disinteresse alla merce di Mediaset e di SKY a cui basta e avanza il circo della NBA. Forse è vero che qualcosa si muove nel basket dopo sette mesi a digiuno, ma forse non è proprio così se l’abbuffata per la supercoppa, le qualificazioni per darci le quattro finaliste che si giocheranno a Bologna il trofeo, non farà venire qualche rimorso ai pavidi che hanno preferito camminare sull’antico sentiero delle agenzie di collocamento per mettere insieme una compagnia di giro cestistico, invece di scoprire ammirati certe isole dove il mare dice, come nel loro laghetto artificiale mosso da eliche o temporali, una volta sì e un troppe volte no.
È in malafede chi è rimasto stupito dai giovani di Reggio Emilia, storia di un vivaio storico e di qualità dove il grande costruttore è stato ora sostituito dal Giordano Consolini che aveva già dato alla Virtus più giocatori di serie A di qualsiasi napoleoncino del pianeta a spicchi. Se qualcosa ci ha emozionato in questa ripresa del basket, certo più degli spettatori ammessi a Venezia, Unipol Arena, Trieste, dopo giornate in cui ci consolava soltanto la memoria di quelli che hanno fatto storia davvero, cominciando da Peterson, è stato vedere la Reggiana di Antimo Martino così diversa dalla Fortitudo che gli era stata portata via senza un motivo, con il diciassettenne Cham re dei rimbalzi e il 2001 Diouf bello tosto in campo. Stessa cosa per Treviso con Menetti che davanti all’aridità dei suoi tiratori di rango ha scoperto facce nuove come Vildera, magari Akele, nella speranza che Mekowulu impari a restare in campo più di 15 minuti perché se ci riuscisse sarebbe davvero una scoperta interessante. C’è una bella gioventù nel Cantuki, c’è la mano di Laquintana nella vittoria triestina contro Trento ancora in costruzione.
Insomma, se il basket avesse avuto coraggio, riducendo il numero dei mercenari senza arte ne parte, magari ci saremmo accorti molto tardi, a stagione inoltrata, che la diversa forza economica ha distanziato troppo le “grandi” dal resto del gruppo, anche se andremmo cauti nel battezzare e nello scomunicare. Milano era imbattuta nel precampionato pure l’anno scorso. Certo sembra più bella di quella ereditata in casa Armani, ma sarà l’Eurolega a giudicare davvero, così come saranno in tornei fuori dal cortile di casa a dirci cosa valgono davvero la Virtus Bologna, Venezia, Sassari.
Certo con le congiure nei comitati regionali si ragiona male e possiamo capire Petrucci se pensa di aver risolto tutto il probelma vivai oberando Capobianco, guardando con ansia i pizzini di Recalcati o Bianchini, se si agita per la battaglia intrigante in Lombardia, feudo di ben 5 società di serie A, fra due uomini veri di campo come Frates e il Maggi che un tempo fu anche assistente di Sales e oggi ascolta molto le voci del suo territorio cominciando da Treviglio.
Noi vorremmo poter scrivere ogni giorno di ex campioni che vanno a lavorare nella miniera dei vivai. Sperando che Abbio trovi nella sua Virtus dirigenti che la pensano come Djordjevic e non vadano in giro a dire di voler dare il basket gratis alla Rai che non lo meriterebbe e lo mortificherebbe come nelle ultime stagioni. Ci auguriamo che Andrea Niccolai trovi a Biella il terreno per aiutare davvero una società interessante a costruire come ai tempi di Bonali, dando una mano anche a Squarcina. Bello che Udine abbia riportato in Italia uno vero con la testa e il cuore di Boniciolli, interessante vedere come Dalmasson riuscirà ad utilizzare Ciani nella nuova Trieste dopo quello che ha regalato ad Agrigento.
Guardando sempre con invidia il volley, se ci fate caso le interviste più interessanti, sport e vita e non soltanto, le rilasciano quello che forse soffriranno di più dalle nuove regole per la maltrattata educazione fisica a scuola dove insegnanti mai pagati bene, mai considerati come si dovrebbe, come cercano di fare associazioni tipo l’ASSITAL in atletica, dovranno inventarsi lo sport da parco anziani, nessun contatto, quindi scordarsi le riserve auree dei vivai per i giochi di squadra.
Dice che sì, dice che no, chi finge di essere pronto a combattere, ma anche a fuggire, sapendo di aver buttato al vento, sotto la cascata il canto di Pablo e di tutti quelli che vogliono convincerci, attraverso il fantacalcio, che un corner battuto male vale più di qualsiasi corsa, lancio, salto, canestro, schiacciata o meta, che la tiratura dei giornali aumenta se mezza pagina viene regalata al “giallo per il numero di maglia che indosserà Ibrahimovic”, certo un campione che sa di cosa parla quando fa sapere che non è rimasto al Milan per fare la mascotte. Glielo auguro e lo diciamo per dolorosa esperienza personale dopo un derby vinto 6 a 5 dall’Inter sul Milan che al riposo era padrone del campo sul 4-1. Freddo di novembre, bizzarria degli dei e di chi vendeva già allora partite importanti.