Classificatori da classificare

26 Gennaio 2007 di Stefano Olivari

1. In una classifica di classificatori, come si classificherebbero Rino Tommasi e Roberto L. Quercetani? E Daniel Marszalek? Chi è Daniel Marszalek? Per la cronaca e per la statistica, è quel giornalista polacco che ha stilato la graduatoria dei ciclisti del secolo. Il secolo è il ventesimo (e il ventesimo del ranking è Freddy Maertens). I ciclisti compresi, cento tondi tondi (dal primo Merckx, all’ultimo Pantani). Per carità, legittime tutte le posizioni: il Pirata dietro a Casagrande, Bugno dietro Chiappucci e Zülle, Zoetemelk davanti a Coppi. Ma i conti, in questo caso, non tornerebbero neanche a un ragionier Fantozzi: Giovanbattista Baronchelli (foto) non ha vinto otto Tour de France consecutivi, eppure precede Lance Armstrong. A volerci prendere gli applausi di tutto il ciclo-forum, sosterremmo che la graduatoria Marszalek è una boiata pazzesca. Vale la pena, invece, considerare l’attenuante della prevalenza del criterio (cretino che sia, comunque soggettivo: cioè personalissimo). Ci limitiamo a citare i soliti polli de Trilussa, comprendendo tra i polli anche noi che continuiamo a divertirci, andando dietro alle «statistiche d’adesso». E rilanciamo: perché ai fini della classifica Pro Tour, una vittoria all’ENECO vale una Roubaix?
2. Sostiene Patrick McQuaid, presidente della federazione internazionale: «In questo momento c’è una lotta fra due culture, quella anglosassone e quella che chiamerei “cultura mafiosa dell’Europa occidentale”. Non direi che quest’ultima perdoni il doping e tutte quelle pratiche che mirano ad imbrogliare. Vero è che tende ad accettare certe cose… forse a causa del modo di vivere che c’è lì». Nel bel mezzo del dibattito («No! Il dibattito no!») sulla riorganizzazione dell’attività professionistica – argomento di per sé complicato e decisivo – l’irlandese a capo dell’UCI riapre un’annosa questione socio-antropologica. Roba da best-seller di Severgnini, se non da manifesto politico di Marcello Pera. Dall’Italia, l’anti-McQuaid Renato Di Rocco fa sapere di preferire l’anti-doping sul modello francese. Dagli USA, anche Floyd Landis e il suo avvocato, fanno sapere di preferire il modello francese. Forse perché pregustano un’imminente, incredibile rivincita, su chi pensava di essere più furbo di loro, Oltralpe? Oscar Pereiro Sio, il secondo della piccolissima Grande Boucle 2006, aspetta e spera. Come neanche Vladimiro ed Estragone, nell’Aspettando Godot di Beckett: contro il solido pragmatismo americano, il solito fatalismo latino.
3. À la Enrico Ruggeri, con la testa alle due classicissime della primavera sanremese: il ciclista d’inverno, è un concetto che il pensiero non considera. Cartoline dalle Maldive illustrano alla meglio, le vacanze (nella media) dei campioni rappresentativi. Pochi si sottopongono ai test più probanti, con fare spento nella galleria del vento. Molti prendono al volo offerte last minute, di partecipazione a corse a tappe extra-continentali. Gianni Savio presenta la sua ultima scoperta dell’America del sud, e viene sempre da credergli. Perché nella bassa stagione si prende quel che viene. E si prendono per buone tutte le intenzioni, anche quelle da comunicato stampa. Ivan Basso pensa a Giro, Tour e crono mondiale. Damiano Cunego pensa solo a migliorarsi. Paolo Bettini, tra gioie e dolori, pensa al Fiandre e al bis iridato. Robbie McEwen già si gode bacini e bacetti, dalle miss della sua Australia. Valverde si fa desiderare. Ullrich si sente indesiderato. Mauro Gianetti pianta alberi di bene in Mali. Nostalgici impenitenti raccontano ancora dei bei tempi andati e dell’esotismo della Varazze di Coppi: ma è solo un film in bianco e nero, visto alla TV.

Francesco Vergani
francescovergani@yahoo.it

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