Classe viva e cybertennis stanco

2 Dicembre 2011 di Simone Basso

di Simone Basso
I coriandoli all’O2 Arena festeggiano la fine della stagione agonistica, almeno quella che conta, con buona pace dei benpensanti che si ostinano a vibrare per la Davis… Vince, per la sesta volta, il Mago Merlino: un bel crepuscolo il suo, nobile come nessuno prima di lui o quasi; difatti ci vengono in mente solo Connors, Sampras e Agassi nella categoria specifica. L’elvetico, bontà sua, continua imperterrito ad affastellare primati: la centesima finale, il settantesimo trionfo, sorpassa due Grandi (Ivan il Terribile e Pistol Pete) nel palmarès dei Masters vinti e lo fa da vincitore più vecchio di sempre (sic) del torneo. Intanto il tempo se ne va e l’impressione è che uno così, neoclassico nei gesti, postmoderno nelle dinamiche, difficilmente lo rivedremo ancora.
Una riflessione malinconica al termine di un’annata storica, la prima che annuncia l’epilogo del duopolio che ha retto l’Atp nell’ultimo lustro. Concluso ufficiosamente da Novak Djokovic, nuovo numero uno mondiale, con un filotto trionfale. Il dato più impressionante, che ha degenerato paragoni imbarazzanti per chi li proponeva, è stata la superiorità del serbo fino alla finalissima di Wimbledon. Solo un Federer in versione Gesù Cristo con racchetta, nella semi al Roland Garros, gli ha impedito un incredibile Grand Slam stagionale. Proprio quella partita, uno scontro tra idee parallele (ma difficilmente convergenti) di tennis, è stato lo zenith del 2011. Quei quattro set favolosi sono accumulabili al colpo dell’anno, ovvero il diritto ignorante (sul matchpoint!) che ha ribaltato un’altra sfida tra Roger e Nole, due mesi dopo agli Us Open.
Eppure l’undici è vissuto soprattutto sulla nolite di Rafa Nadal, preso ripetutamente a schiaffi da RoboNole in uno scenario inconsueto per l’iberico. Infatti il manacorino non aveva mai perso da un rivale sulla corsa e la tenuta alla distanza, cioè le armi letali del suo interregno. L’oroscopo dell’anno che verrà dipenderà innanzitutto dalle condizioni del minotauro spagnolo, l’ago della bilancia nei rapporti di forza tra i migliori. Ci si aspetta uno scarto, un miglioramento tattico e un rinsavimento atletico, altrimenti i troppi nadalicidi degli ultimi mesi, compreso il bagel londinese ad opera di Federer, potrebbero trasformarsi in un Requiem alla carriera.
Ha fatto specie osservare gli esponenti più in vista del cybertennis nello scampolo autunnale: l’evidenza la ribadiamo da qualche anno ma è ormai attualità stretta. Pare che, con l’eccezione del solito noto da Basilea, sia diventata più importante la benzina (super) rispetto alla cilindrata tecnica dei soggetti. Un assunto che avrebbe potuto essere confermato dalla Wada se, per problemi finanziari, quei lazzaroni non avessero alzato bandiera bianca di fronte alla ricerca dei ftalati nel sangue. L’omologazione delle superfici e i nuovi materiali hanno appiattito le differenze stilistiche, sterilizzando il gioco. Quasi tutti i top player contemporanei vivono e muoiono sul ritmo e la profondità dei colpi: il punto è che difficilmente ci si abitua alla visione dei Djoker e Nadalito novembrini, fuori fase e corti. In poche parole, imbarazzanti.
I tre Slam di Spazzola sono l’emblema di un tennis monodico, gerarchico per scelte ambientali e politiche.
Che, inchinandosi a strategie procteriane, ha relegato in un angolo fantasia e tradizione.
L’ultima esibizione indoor tra Rogi e Alì Tsonga è vissuta nell’atipicità (..) del tennis praticato dai due. Entrambi attaccanti, di fioretto l’elvetico, di spada il francese, hanno compilato cinquantasei discese a rete in un due su tre velocissimo. Quest’estate, sulla terba dell’All England Club, un evo fa riserva indiana del gioco offensivo, Djokovic e Nadal ne hanno totalizzate trentacinque (Rafa solo nove!). In quattro set eterni (..) e quasi mai utilizzando il classico serve and volley.
La serializzazione è il latte plus del 2011 fenomenale di Nole: 70-6 il record definitivo del campione belgradese. Per caratteristiche comparabile al Lendl del biennio 1985-86 (158-13): uno che con le regole d’ingaggio attuali avrebbe vinto ancora di più. Dei super quantitativi non si può ignorare il migliore, cioè Bjorn Borg; lo svedese nelle edizioni 1979-80 mise assieme numeri impressionanti (154-12), coadiuvati da una possibilità sfumata di Grande Slam. Furono McEnroe e le condizioni ambientali di Flushing Meadows (simili a una Davis) ad impedirgli di succedere a Rod Laver, l’unico bipede che fece il poker dei major durante l’era open (1969). Il 1974 di Jimbo Connors (93-4) ha il rimpianto della vertenza di Team Tennis con i dirigenti francesi, che lo esclusero dallo Slam sul rosso. La striscia primaverile di Djoko lo ha affiancato statisticamente al Macca doc, senza ombra di dubbio l’atleta che, con Red Rocket e Fedexpress, è stato sinonimo di massima qualità tennistica. Ci riferiamo al mitologico 1984 di SuperBrat, un 82-3 che ebbe il giorno più lungo nella finale parigina con Lendl, persa al quinto, il rammarico di un’intera carriera. Sempre sulla terra della capitale Bleus si infransero i sogni di Grande Slam di Federer, che pensiamo ricordi ancora benissimo le dieci (!) opportunità mancate per breakkare Nadal nel primo parziale della finale 2007. Federerissimo, gli anni prima, regalò un triennio apocalittico alla concorrenza dal 2004 al 2006: 74-6, 81-4 e 92-5… E con l’asterisco della sconfitta alle Atp Finals ’05 con Nalbandian, giocate praticamente su una gamba sola.
Il futuro prossimo?
Mentre Djokovic toccherà metalli di ogni tipo, non crediamo che il serbo avrà il destino plumbeo del Wilander 1989, svuotato dopo un ottantotto da mammasantissima. Anche perchè insidiare la vetta, visto il tono muscolare richiesto, è diventato sempre più arduo; soprattutto per i giovinastri. Ci aspettiamo (o ci auguriamo) il ritorno definitivo di Pennellone Del Potro, l’unico outsider con lo chassis giusto per impensierire la cosiddetta Banda dei Quattro (quindi pure Godot Murray…). Dei bimbi il più lesto ci pare Bernardo Tomic, agonista dotato di braccio e testa (calda).
Continueremo a sperare in Dimitrov, più che altro per ragioni estetiche (dispone di rovescio non bimane..), mentre attendiamo Harrison, Raonic e Nishikori a livelli maggiormente consoni alla loro classe. Di sicuro, rispetto alla decadente Wta, l’Atipì non può vantare una Petra Kvitova, potenziale dominatrice di domani. Ma ci consoleremo già da Gennaio con le prime sfide: l’inverno del tennis, grazie agli Aussie Open alle porte, dura pochissimo.

Simone Basso (2 dicembre 2011)

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