Aspettando la linea

20 Gennaio 2009 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari

1. Quando una trattativa di mercato finisce subito parte il festival dello ‘Io l’avevo detto’: una grottesca gara di intelligenza fra persone che hanno informazioni ad andare bene di seconda mano. Vale anche per i giornalisti di solito imbeccati direttamente da Galliani (non a caso sui giornali di oggi sono fra i più livorosi nei commenti), che nella recente vicenda Kakà è tornato per qualche ora quello di Marsiglia: parafulmine con poche colpe, costretto a subire i falsi miti della bontà presidenziale e della pulizia morale degli uomini di campo. Fra telefono, televisione ed ottime segnalazioni di milanisti non organizzati (bisogna rimarcare il fatto che ieri sera sotto casa Leite c’erano quasi solo persone normali e non suburra teleguidata), abbiamo vissuto ore interessanti suggellate dalle prevedibili (ci sarebbero state anche in caso di cessione al City) telefonate di Berlusconi al ‘Brogiesso’ ed a SkySport24 con cui il presidente del Consiglio è uscito dall’angolo in cui lui stesso si era messo.
2. Senza ammorbare con la millesima ricostruzione, questi i principali dati di fatto. a) Il Milan aveva venduto Kakà allo sceicco, non negli ultimi giorni ma dopo una trattativa durata quattro mesi mesi e con l’inserimento di intermediari nuovi (non il solito Bronzetti, per intenderci, ma gente che lavora anche fuori dall’asse Italia-Spagna come Joorabchian e Vlado Lemic, quest’ultimo anche ottimo amico di Abramovich). Traduzione: una cosa che è passata sopra la testa del vituperato Galliani. b) Dopo i tanti rinnovi, di puro ingaggio Kakà viaggia sui 18 milioni lordi annui fino al 2013: dopo una stagione per lui normale e con una scadenza lontanissima il ‘cattivo’ (pensate un po’, un padre che fa gli interessi del figlio: meglio affidarsi a Moggi e Zavaglia, no?) ingegner Bosco sapeva di non poter accampare pretese rimanendo al Milan. Il teorema del Kakà avido non stava in piedi, ma è vero che i soldi arabi sono stati presi in considerazione. c) Un Real Madrid con Florentino Perez di nuovo dietro le quinte farà presto un tentativo: solo allora si capiranno i sentimenti del ‘vero’ Kakà. Che in linea di massima tiene più a vittorie e riconoscimenti che ad un milione in più che potrebbe avere con qualsiasi pubblicità. d) Fidandosi troppo dei sondaggi (gli italiani vogliono austerità, e cose del genere) e di consiglieri tristi, Berlusconi aveva sottovalutato il danno di immagine derivante dalla perdita non solo di un fuoriclasse ma anche di quello che aveva indicato come figlio o genero ideale, oltre che volto pulito (secondo la lezione di Giulio Cesare, ma anche del fruttivendolo sotto casa, sembrare onesti è più importante che esserlo) del calcio: raramente abbiamo sentito tanti non milanisti contenti per la permanenza di un campione al Milan. e) Tutti i vari ‘E’ fatta, è stato venduto’ sono stati ispirati da fonti milaniste o dal copia & incolla di siti inglesi: Kakà non ha fatto marce indietro semplicemente perché non è mai andato avanti.
3. Gli sconfitti di questa storia? Silvio Berlusconi, gli intermediari che secondo la media delle varie stime sognavano dai 10 ai 15 milioni facili, i giornalisti che fuori tempo massimo hanno preso a pernacchie il Manchester City con affermazioni ignoranti del tipo ‘Ma che squadra è una che prende Bellamy e De Jong?’. Chi ha pareggiato? Kakà, che adesso per andare via sa di avere solo un colpo in canna, ed i mediaservi che hanno tenuto un profilo bassissimo in questi giorni, non comprendendo quale fosse la linea ‘giusta’, lo sceicco che comunque ha fatto parlare in tutto il mondo del City mettendo qualche mattone per la sua credibilità futura di mercato: in fondo cos’era a livello internazionale il Chelsea non diciamo prima di Abramovich, ma anche solo prima dell’era VialliZola? I vincitori? In stile Forza Milan, o anche solo Studio Sport, diciamo i tifosi: quelli non organizzati e ben lontani dalla ‘ndrangheta (la cui capitale è da tempo Milano, con diramazioni calcistiche di cui si parla troppo poco), fra cui molti giovanissimi, che si sono sentiti ingannati fin dall’inizio. La storia è finita bene per il no di Kakà, ma è bello pensare che per un uno per cento la manifestazioni pacifiche abbiano influito più di sondaggi e cose che non sapremo mai. Chi vede nel calcio la metafora di tutto potrebbe pensare che si sia trattato anche di uno scontro di civiltà: il campione ‘I belong to Jesus‘, punto di riferimento per milioni di ragazzi, comprato dal musulmano straricco che fino a pochi mesi fa si interessava solo di equitazione. Quindi avremmo vinto tutti? Aspettiamo la linea.
Stefano Olivari
stefano@indiscreto.it
(appuntamento a domani, verso mezzogiorno)

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