Armstrong sulla Luna

27 Luglio 2007 di Stefano Olivari

Avete più di trent’anni, amate il calcio britannico da prima che diventasse una moda planetaria e soprattutto non lo identificate solo con la Premier League, pensate che le nazionali siano l’ultima isola di purezza in un mondo mercenario, volete scaldarvi il cuore. Se siete in possesso di tutti i requisiti andate sul solito You Tube e digitate due cognomi, Arconada e Armstrong: potrete così rivedere subito il secondo (essendo indiscutibile il primo, quello di Peter McParland alla Cecoslovacchia nel 1958) gol più importante nella storia dell’Irlanda del Nord, segnato dal pesante attaccante del Watford a quello all’epoca considerato uno dei portieri più forti del mondo. Un gol che portò la nazionale allenata da Billy Bingham al primo posto del gruppo 5, con conseguente qualificazione al secondo turno in un gironcino (con Francia e Austria) sulla carta meno difficile di quello in cui sarebbero capitati i padroni di casa (Inghilterra e Germania Ovest). In una delle tante partite del Mondiale 1982 che rimangono scolpite nella memoria, novanta minuti da amare anche perché fuori dal solito circuito delle rievocazioni, una piccola nazionale riuscì a dimostrare che almeno nello sport non tutto si può scrivere in anticipo.
La storia di quella squadra parte da lontano, dal Mondiale 1958 al quale si qualificarono tutte e quattro le formazioni britanniche. L’Irlanda del Nord fra l’altro a spese dell’Italia degli oriundi, con un’ala destra dal dribbling entusiasmante: sì, William Laurence Bingham. Che fece benissimo come giocatore, soprattutto al Sunderland ed al Luton Town, ma che nella memoria è rimasto soprattutto come allenatore. Di club, fra gli altri un dimesso Everton anni Settanta, ma soprattutto di nazionali: quella greca e ovviamente la sua Irlanda del Nord, in due differenti periodi, dal 1967 al 1971, come successore del compagno 1958 Bertie Peacock e buon gestore del fenomeno Best, e dal 1980 al 1994, come successore di un’altra gloria nordirlandese del Mondiale di Pelé e Fontaine, Danny Blanchflower.
Il Mondiale spagnolo è la seconda partecipazione alla fase finale ed il sorteggio non dice benissimo: il gruppo è quello della Spagna padrona di casa e della Jugoslavia di Miljan Miljanic, la rivelazione (troppo) annunciata della manifestazione, con l’Honduras teorica comparsa. Esordio il 17 giugno alla Romareda di Saragozza, il giorno dopo il pareggio rubacchiato dalla Spagna all’Honduras. Jennings, Jimmy e Chris Nicholl, Donaghy, Martin O’Neill, Sammy McIlroy: la squadra è piena di giocatori di primo piano, ma a far parlare i media è soprattutto l’impiego dal primo minuto di Norman Whiteside, diciassettenne dal fisico notevole ma che alle spalle ha solo qualche minuto nel calcio dei grandi, sia pure nel Manchester United. Su Whiteside, che con 17 anni e 41 giorni batterà il record di precocità mondiale di Pelè, Bingham sa di giocarsi buona arte della sua credibilità: il ragazzo scoperto da Bob Bishop (talent scout anche dei già citati Best e McIlroy) si presenta come attaccante, ma Bingham ha intuito la sua versatilità tattica ed al suo staff confida che sarà la sorpresa del Mondiale.
Infatti parte dal primo minuto già contro la Jugoslavia, suo esordio assoluto. Partita da zero gol e mezza emozione, per un sospetto fallo da rigore proprio su di lui. Tanto calcio casuale, a dispetto della presenza di centrocampisti come il capitano O’Neill, ex pilastro del super Forest di Brian Clough, e di quello che sarà il capitano nel 1986, McIlroy, un grande avvenire dietro alle spalle nel Manchester United. Il 21 giugno, sempre alla Romareda, la grande occasione buttata con l’Honduras: dopo il vantaggio-flipper di Armstrong, in seguito a una doppia traversa di McIlroy e Chris Nicholl, il migliore in campo diventa Jennings che riesce a parare tutto tranne un colpo di tresta di Laing: uno a uno, e tutto rimandato alle ultime partite. Anzi, l’ultima, dopo il due a uno strappato dalla Spagna alla Jugoslavia e l’uno a zero sgraffignato dagli slavi all’Honduras, con l’ennesimo rigore dubbio di un girone per moviolisti.
Stadio Casanova di Valencia, 25 giugno, Spagna-Irlanda Del Nord con i padroni di casa e la Jugoslavia a tre punti, la squadra di Bingham e l’Honduras già eliminato a due. Per passare il turno l’Irlanda del Nord ha una sola strada: vincere. Nonostante la solita pubblicistica del genere ‘Birra e fidanzate’, che non si nega a nessuna squadra britannica, l’ambiente è in realtà fin troppo carico, tanto che Bingham ha dovuto interrompere gli allenamenti dei due giorni prima la partita per rissa generale durante a partitella. Il c.t. è arrabbiatissimo con i suoi per l’ultima prova, litiga con O’Neill che non ha gradito la sostituzione con l’Honduras, e nella conferenza stampa della vigilia è ancora più pesante: ‘’Avevamo pescato la carta giusta ma l’abbiamo buttata via: adesso al novanta per cento siamo fuori’’. Evita però punizioni per qualche scorribanda notturna ed il poker: sa quanto sia difficile andare ad un Mondiale e controproducente fare il sergente di ferro con giocatori sì professionisti ma non ancora europeizzati.
Nell’ambiente spagnolo la tensione è comunque moltiplicata per dieci, per un torneo nato male, con lo sciopero dei giocatori ispirato da Zamora, e proseguito peggio, con mille correnti di pensiero politiche e mediatiche a disturbare il lavoro del c.t. Santamaria, ognuna con il suo campioncino di culto. Da bravo ex difensore, fra l’altro uno dei più forti di sempre (stella del Nacional di Montevideo e del grande Real), l’uruguayano naturalizzato spagnolo stoppa tutti. Con parole dure ma anche con l’ottimismo, tanto che assicura a stampa e dirigenti che la vittoria nel girone può considerarsi cosa fatta. L’albergo a Navajerreta, vicino a Madrid, è già prenotato, anche se non vale solita storiella pseudo-scaramantica (la madre di tutte è quella di Pozzo prima di Italia-Brasile 1938): il volo per Madrid è prenotato anche dalla delegazione nordirlandese, visto che sia la prima che la seconda del girone finiranno nella capitale, sia pure in due stadi diversi. Zamora è al centro di un ennesimo caso, una misteriosa tendinite che in realtà sembra una ripicca per l’impiego tattico non gradito: Santamaria non ne può più e medita di schierare il madridista Ricardo Gallego (a fine decennio timbrerà il cartellino all’Udinese), o addirittura Saura, che in quel momento sembra l’uomo baciato dal dio del calcio. Finalmente si gioca.
L’Irlanda del Nord non carica a testa bassa, con il suo 4-3-3 flessibile (nel senso che l’unico che davvero fa la punta è Armstrong, mentre Hamilton e Whiteside sono ovunque) aspetta una Spagna che nonostante i tanti attaccanti e mezzi attaccanti non si scopre: per la cronaca non giocano né Zamora né Gallego. I bianchi (nell’occasione) intorno al 30’ iniziano a costruire gioco, la Spagna non aspetta altro e glielo spezza, con tutti i falli dubbi interpretati a senso unico dal signor Ortiz, paraguayano che vuole fare strada (non la farà, quella di Valencia rimarrà la sua unica partita mondiale). La squadra di Santamaria riparte bene, ma senza creare niente se non calci d’angolo: su uno di questi, al 40’, il piedino di Lopez Ufarte trova la testa di Alesanco. Palla di un niente sopra la traversa, con Jennings che la guarda grato. Nel secondo tempo subito la Storia, al secondo minuto. Armstrong parte palla al piede dalla sua metà campo, la testa bassa come un toro, e arrivato sulla tre quarti smista sulla destra per Hamilton e va a buttarsi in mezzo all’area. Hamilton resiste al tentativo di fallo di Gordillo, gli va via di potenza e velocità, senza alzare lo sguardo crossa un pallone a mezza altezza. Qui Arconada inventa un numero che lo marchierà per la carriera, quasi al pari del gol subito da Platini ad Euro 1984, smanacciando il pallone in mezzo all’area senza essere pressato da nessuno. L’unico avversario nei paraggi è Armstrong, che con una cannonata rasoterra di destro si guadagna l’immortalità.
A questo punto entrambe le squ

adre in campo sarebbero qualificate e ce ne sarebbe abbastanza per un tarocco, oltretutto in una giornata che poche ore prima ha visto la sceneggiata di Gijon fra Germania Ovest ed Austria. Ma la Spagna vuole il primo posto, oltre che evitare la Germania, e si butta all’assalto: Jennings esce a valanga su Lopez Ufarte, poi fa un’altra prodezza sulla scatenata punta che con Arconada, Zamora e Satrustegui è punto di forza della Real Sociedad bicampione di Spagna. Si incominciano a vedere scontri ai confini della lealtà, in ogni punto del campo. Uno di questi è fra Donaghy e Juanito: ad essere espulso è solo il difensore del Luton Town, oltretutto per un fallo non sul provocatore ma su Camacho. L’anziano Quini, entrato per Sastrustegui, sgomita e si batte in area, ma nei mischioni i nordirlandesi sanno come cavarsela: a sette minuti dalla fine Gallego, entrato per Lopez Ufarte, crossa senza pretese, ma Jennings si esibisce in un’uscita degna di quella di Arconada: tutto il Casanova grida al gol, ma Quini non riesce ad arrivarci davvero per un niente. Il portiere all’epoca dell’Arsenal si rifà su una cannonata di Gordillo: adesso è finita. Vincitori e sconfitti vanno a Madrid, la Spagna al Bernabeu e l’Irlanda del Nord al Vicente Caderon. Bingham è riuscito nel miracolo di passare il primo turno, come nel 1958. Per trovare poi, da Kopa e Fontaine a Platini e Giresse, sempre ostacoli francesi e soprattutto insormontabili. Nel 1986 per Bingham e la sua nazionale sarà ancora Mondiale e ancora sfida con la Spagna: ma come tutti sanno il 1982 rimane unico.

Stefano Olivari
stefano@indiscreto.it

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