Ancora due anni di vita

17 Maggio 2010 di Stefano Olivari

Bjorn Borg e John McEnroe al netto di esibizioni e tornei master hanno chiuso sul 7 pari una rivalità grandissima sì, ma durata di fatto solo tre anni (1978-1981) e chiusa troppo presto per logorio mentale dello svedese. Con la vittoria di ieri a Madrid dopo sette anni di sfide Rafa Nadal è invece in vantaggio sul più anziano, di cinque anni, Roger Federer per 14 a 7.
Questa la contabilità, ma la prima partita fra i due miti dopo un anno di astinenza (quella precedente proprio a Madrid, dodici mesi fa vinse Federer) ha detto anche molto altro. Prima di tutto che oltre al fisico, ormai tornato a livelli da David Ferrer, Nadal ha recuperato anche la testa: lo ha dimostrato alzando il livello del suo gioco e la gradazione dei suoi angoli ogni volta che il rivale stava per staccarsi. Situazione evidente sia nel primo set giocato con paura da entrambi, che nel secondo in cui si è quasi sempre tirato a tutto braccio. Madrid ha detto anche che Federer sta arrivando al Roland Garros nella forma giusta e con l’idea, ancora più giusta, che Nadal non si può battere facendo il fenomeno da fondo campo (tanto meno al meglio del quinto set) ma prendendo rischi: notazione da bar del tennis, se non fosse che i rischi lo svizzero è in grado di prenderseli quasi sempre. L’elenco delle occasioni sprecate nel secondo set, specie alla fine, lo autorizza ad essere moderatamente ottimista. Insomma, dopo una vita sulla terra battuta alla Boris Becker (che si incaponiva nel voler superare i maratoneti con le loro armi, con il risultato di non vincere su questa superficie nemmeno il torneo più lurido) a 29 anni Federer ha avuto l’umiltà di capire che un Roland Garros vinto in finale su Nadal e non su Soderling passa attraverso una tattica offensiva che percentualmente paga più delle altre. Poi è facile ricordare bellissime sconfitte giocando alla Nadal, come nella meravigliosa finale di Roma 2006, ma in questo molto relativo crepuscolo federeriano le scelte sono obbligate. Più passanti di controbalzo e attacchi in controtempo in back, meno sventagliate due metri dietro la riga di fondo: probabile glielo abbia detto anche il suo ‘non coach’ Luhti. Poi ci sono tonnellate di numeri, che risparmiamo (invitiamo a visitare il sito dell’Atp, noi siamo schiavi degli head to head): il più importante è comunque il 2, visto che da oggi il maiorchino è di nuovo il secondo giocatore del mondo anche per il computer e quindi a Parigi non c’è il rischio che incontri Federer prima della finale. Il resto è una rivalità di livello sportivo ed etico così alto che non ci fa rimpiangere le telecronache di Rino Tommasi (ma perchè Sky lo ha congelato?) e ci fa vergognare anche solo di pensare al tifo: fino a Londra 2012, intesa come Olimpiade, c’è un almeno un motivo per vivere.
stefanolivari@gmail.com

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