Quelli della notte, quando Arbore univa il paese

13 Giugno 2015 di Stefano Olivari

Quelli della Notte sarà celebrato nel suo trentennale questa sera da Fabio Fazio, a ‘Che tempo che fa’, con ospiti Nino Frassica, Maurizio Ferrini e ovviamente Renzo Arbore, che con l’Orchestra Italiana farà riascoltare tutti i tormentoni della trasmissione, a partire da ‘Ma la notte no’. La tivù che celebra se stessa ha sempre qualcosa di forzato (comunque meglio delle compunte pseudo-analisi alla Tv Talk, dove i ‘gggiovani’ in studio sembrano vecchi come il conduttore), ma Quelli della Notte nella storia della televisione italiana ha rappresentato davvero qualcosa di unico: un format che nonostante il successo non sarebbe mai stato replicato, nemmeno dallo stesso Arbore che pure avrebbe ripreso qualche personaggio e un po’ di quello spirito due anni e mezzo dopo con Indietro Tutta!.

Avendolo noi purtroppo (per l’età) seguito in diretta e non attraverso i mille ‘very best’ che fanno sembrare mitiche anche trasmissioni al loro tempo quasi inguardabili, possiamo ricordare che Quelli della Notte rifletteva perfettamente lo spirito del tempo. Primavera del 1985, in pieno governo Craxi, un’economia in espansione e soprattutto a fare da contrasto la cupezza degli anni Settanta da cui si era appena usciti. La comicità non era più il comico che eseguiva il suo numero di due minuti, ma tutto un contesto preso a prestito dalla televisione ‘seria’ e dalla società reale. Il cazzeggio artistico di Arbore, che nell’indimenticata L’Altra Domenica aveva comunque dei limiti, poteva esprimersi senza uno schema, da capocomico che accendeva o spegneva i personaggi di contorno a seconda del loro stato di forma. Un superamento netto della figura del ‘bravo presentatore’, infatti presa in giro da Frassica poi in Indietro tutta!, per arrivare a una tivù molto personale dove tutti gli altri brillavano di luce riflessa.

Lo stesso Frassica, interprete di un frate che sparava citazioni sbagliate a raffica, Riccardo Pazzaglia nella parte dello scrittore un po’ trombone (espressione cult “Il brodo primordiale”), Ferrini in quella del comunista romagnolo ormai fuori dal tempo, Andy Luotto che faceva la caricatura dell’arabo (inimmaginabile nel boldrinismo di oggi, ma anche all’epoca quel personaggio divise e fu infatti accantonato dopo minacce di morte ricevute dallo stesso Luotto: la famosa autoironia araba, che presto conosceremo nel suo splendore), Massimo Catalano con le sue massime banali, presa in giro del filosofo da salotto non soltanto televisivo, Dario Salvatori che fingeva di fare l’esperto serio di musica (un gioco nel gioco, visto che Salvatori un grande esperto lo è davvero), oltre a un Roberto D’Agostino’lookologo’  in forma strepitosa e al suo ‘edonismo reaganiano’ che sintetizzava la pochezza delle analisi di costume fatte da sociologi e giornalisti. E poi Simona Marchini come signora svampita, Marisa Laurito, Silvia Annichiarico, Giorgio Bracardi, una serie infinita di altri che dimentichiamo e poi chi suonava, dal maestro Mazza a Gegé Telesforo, da Stefano Palatresi ad Antonio e Marcello.

La trasmissione iniziava tardissimo, per i canoni dell’epoca: le 23 e 15 circa, che spesso diventavano 23 e 30, durava circa un’ora e non aveva un vero copione ma personaggi fortissimi che andavano a braccio. Il successo non fu immediato, perché nella prima settimana non si andò oltre il milione di telespettatori di media, ma fu generato dal passaparola e alla fine a metà, giugno, lo share era oltre il 50%. Un telespettatore italiano su due guardava stabilmente lo stesso programma ed aveva quindi qualcosa di cui discutere al bar o in ascensore. Il vero rimpianto non è quindi per una trasmissione con gli occhi di oggi datata o per battute spesso modeste, ma per una cultura popolare (e non volgare) di massa che univa l’Italia più dei proclami retorici.

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