Luci al Meazza

3 Luglio 2007 di Fiorenzo Radogna

Il calcio italiano cambia, gli stadi italiani restano sempre gli stessi. Come se il fascino indubbio dell’età, da solo, dovesse bastare a pedinare il progresso (o più spesso il regresso) di mode, costumi e abitudini della pedata nazionale. Tutti, tranne pochi. Alcuni, fedeli al motto “Bisogna sempre cambiare, per rimanere se stessi”, il proprio volto lo hanno cambiato eccome. Una, due, cinque volte. In attesa della sesta. Il “Meazza” ha da poco compiuto 80 anni. E’ vecchio, grandissimo, scomodissimo (nel suo terzo anello), ha una copertura che fa a pugni col pratone sottostante eppure nessuno lo vorrebbe cambiare. E in pochi, forse qualche furbacchione in cerca di appalti, ne vorrebbero un altro. Quattro file di spalti, una per ogni lato, senza semicurve e con una tribuna coperta in legno e metallo, con le colonne a innervarsi fra i gradoni. Questo è l’originale “Stadio Calcistico San Siro” del 1926, nato dal progetto della coppia Stacchini e Cugini e sviluppatosi su una superficie di 37mila metri quadrati, di cui solo 9mila occupati dal manto erboso. La prima capienza è di 26mila posti, tutti a sedere. Un vero lusso per gli anni ’20. In un epoca dove gli spettatori non solo stanno in piedi, ma possono addirittura addormentarsi senza cadere, tanto sono compressi. Scriverà Gianni Brera: “San Siro…era la ripetizione in cemento armato dei campi provinciali inglesi. Facciamo Ipswich: quattro lati di spalti che lassù sono in legno. Non qui da noi”.
E’ un derby, il 15 settembre, a inaugurare la struttura. Sono anni anonimi per le milanesi, una delle quali si prepara a diventare Ambrosiana. Un po’ come se il Napoli diventasse Gennarina. La struttura è di proprietà del Milan essendone la costruzione interamente finanziata da Piero Pirelli suo presidente. Nel primo San Siro gioca solo il Milan, mentre l’Inter si appoggia ancora all’eterna Arena napoleonica, tranne in occasione delle gare di grande richiamo, quando i suoi 30mila posti non sono sufficienti. Nel 1935 sarà il Comune ad acquistare lo stadio. Per vedere le due squadre milanesi alternarsi sistematicamente sullo stesso terreno di gioco bisognerà però attendere la fine degli anni ‘40. Nel frattempo si sono costruite le quattro semicurve e l’aspetto della struttura diventa ad anello, viene abbassato il terreno di gioco e costruito un utilissimo (ma scomodissimo) parterre. Capienza 55mila posti, disposti su un singolo anello. Proprio a San Siro l’Italia di Pozzo guadagna nei Mondiali nostrani del ’34 il diritto alla finale, battendo in semifinale la fortissima Austria con un golletto di Guaita al 19’ e tanta sofferenza. E’ la prima importantissima sfida internazionale giocata nel catino milanese.
Poi arrivano la guerra, le bombe e gli sfollati, ma San Siro resiste, anzi si rilancia. Grazie al progetto di ristrutturazione di Calzolari e Conca che viene reso esecutivo nel 1954. Si parla inizialmente di dotare il nuovo San Siro di ben 150mila spettatori di capienza. Uno sproposito. E infatti la ricettività verrà poi limitata a “soli” 100mila posti, 85mila un anno dopo con la sistemazione di seggiolini nel settore tribuna e distinti coperti. E’ di gran lunga lo stadio più grande d’Italia e fra i più grandi d’Europa. E’ con questo ampliamento che la struttura acquisterà il secondo anello e quella forma elicoidale esterna, procuratagli dalle rampe di accesso. Una forma che resta nell’immaginario collettivo e nel ricordo di un calcio anni ’60 e ’70 mai abbastanza rimpianto. Gli anni di Mazzola e Rivera, delle Coppe dei Campioni rossonerozzurre, degli scudetti di Moratti padre e di Rizzoli. San Siro diventa quella “Scala del calcio”, con un’enfasi d’altri tempi e altri giornalismi. Un palcoscenico nobile, dove si giocano due finali di Coppa Campioni in pochi anni (nel ’65 Inter-Benfica 1-0 e Feyenord-Celtic nel 1970) ma che non disdegna “marchette” per le serie minori. Il 17 novembre 1974 San Siro viene “prestato” a una gara di serie C fra il Sant’Angelo Lodigiano e il Monza. Finisce 0-0. Sedicimila spettatori e un incasso di 32 milioni. E’ proprio un altro calcio.
Era stato invece un altro sport, il pugilato, a invadere il tempio meneghino del football. Il 1° settembre 1960 Duilio Loi abbatte Carlos Ortiz nella sfida mondiale dei pesi welter junior, con un pubblico record di 55mila spettatori. Intanto il pubblico che si alterna sugli spalti comincia a peggiorare. Negli anni ’70 i più maleducati del secondo anello prendono la brutta abitudine di gratificare gli spettatori nei distinti d’improvvisate “piogge dorate”. Non è raro in quegli anni vedere gente di quel settore assistere alle partite con l’ombrello, anche quando il sole spacca le pietre. E non solo. Più di un tifoso, nei decenni, vola letteralmente dalla struttura. “Ero seduto sulla balaustra del secondo anello, rivolto verso il campo – racconta un tifoso dell’Inter – a un certo punto ho sentito la massa di tifosi alle mie spalle che mi cadeva addosso. Sono volato giù, atterrando nel parterre con la gamba destra. Ho sentito il ginocchio che mi esplodeva”.
Nell’autunno del 1978 si scopre casualmente un cedimento nella struttura portante del secondo livello. Il Milan si lancia verso lo scudetto della stella con una casa parzialmente inagibile. Giocherà con la parte inferiore dell’anello superiore chiusa al pubblico, una capienza limitata a 65mila spettatori e con progressivi problemi di ordine pubblico, culminati nel giorno della festa scudetto. Prima dell’ultima del campionato 1978-79, Milan-Bologna, un Gianni Rivera al passo d’addio al calcio è costretto dal campo ad appellarsi al buon senso dei tifosi che hanno invaso la zona inagibile. Un tifoso calabrese piangente invade il terreno di gioco e afferra il microfono del Golden Boy: “Ho fatto 1500 chilometri per questa festa, non può finire così” singhiozza. Il pubblico rientra nei settori agibili, la partita finisce 0-0. Al Milan il 10° scudetto, al Bologna la salvezza, a San Siro la “patente” per una sopravvivenza che appariva in forse. Non solo, finalmente lo stadio acquista un nome. Tutto suo. E’ quello di Giuseppe Meazza, a cui il 2 marzo del 1980 viene dedicato lo stadio. Meazza, primo grande fuoriclasse italiano degli anni ’30, ha giocato nell’Inter e anche, ma solo un anno e in fase calante, nel Milan. Qualcuno di fede rossonera storce il naso. Meazza si identifica soprattutto con i colori nerazzurri.
Pochi mesi dopo un evento destinato a rimanere nella memoria di molti. Ma il calcio non c’entra nulla. Il 28 giugno 1980 Bob Marley tiene sul pratone dello stadio, davanti a oltre 100mila spettatori, il suo più grande concerto europeo. E’ un’apoteosi. Di musica, di giovani, di canne e idranti. Gli stessi raccontati qualche hanno dopo da Antonello Venditti nella sua “Piero e Cinzia”. Il consolidamento del 2° anello consegna lo stadio agli anni ’80, dove una normativa finalmente codificata in ogni aspetto sancisce una capienza definitiva attorno agli 83mila posti. Che rappresentano il trampolino verso un nuovo, radicale, cambiamento in vista di “Italia ‘90”. E’ in questi anni che viene segnato a San Siro, uno dei gol più belli della sua storia. Lo mette a segno nel secondo turno di Coppa Uefa, il 24 ottobre del 1985, Kalle Rummenigge in un Inter-Glasgow Rangers va a spazzolare le orecchie del suo diretto avversario con una sforbiciata al volo dalle dinamiche irripetibili. L’arbitro tedesco annulla per gioco pericoloso. E per stupidità conclamata (la propria).
Fra il 1988 e il 1990, in vista delle kermesse iridata, viene cancellato l’anacronistico parterre a vantaggio di qualche gradone in più per i posti a sedere delle tribune, mentre viene costruito il terzo terrificante anello, grazie a quattro enormi piloni di sostegno che faranno anche da base per una copertura di metallo e plexiglas posta a 75 metri dal livello del terreno di gioco. La capienza, fra posti persi nel parterre e guadagnati col terzo anello (incompleto all’altezza del tabellone elettronico) sarà fissata a 8550

0 posti, oggi diventati poco meno di 83mila. Spostata la tribuna stampa, fra mille polemiche, dal primo al secondo anello, sistemati i tornelli del “dopo-Raciti”, il prossimo passo per la cattedrale meneghina pare sarà il completamento del terzo anello, con l’aumento della capienza fino a 95mila posti. Per la gioia di quei tifosi-arditi, e sono tanti, che acquistano il tagliando di questo settore, per poi scavalcare e lanciarsi nel secondo anello. Da dove la partita si vede e non sembra una ricostruzione al subbuteo. Sarà la sesta faccia di uno stadio che non smetterà tanto presto di raccontare. Di farci piangere per le vittorie passate e ridere per le sconfitte di una volta.

Fiorenzo Radogna
fiorenzoradogna@tele2.it

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