Lo sport preferito dall’uomo

21 Marzo 2022 di Stefano Olivari

Lo scorso fine settimana ha messo a dura prova anche chi, come molti di noi, cerca di limitare al minimo la vita sociale e familiare. Sabato Napoli-Udinese, Inter-Fiorentina, Cagliari-Milan, dalla mattina alla sera i Mondiali di Belgrado con tre volte Jacobs, le qualifiche del primo gran premio di stagione, le semifinali di Indian Wells con quella epica, in mezzo al vento, fra Nadal e Alcaraz, più tutto ciò su cui avevamo scommesso e su cui abbiamo buttato un occhio.

Domenica ancora calcio, ancora atletica, il gran premio di Leclerc, più tanta pallacanestro a partire da Brescia-Olimpia, per continuare con il torneo NCAA (l’abbonamento a Helbiz il confine da varcare per entrare nel mondo cuckold, ma onestamente basterebbero Wizards-T-Wolves o City-Arsenal) ed altro che abbiamo già dimenticato. Con percorso netto su rugby, ciclismo, pallavolo, NBA, eccetera.

In mezzo a tutto questo abbiamo anche lavorato, anche se strettamente per lavoro ci sarebbe bastato seguire qualche partita di calcio (o gli highlights, diciamolo), ma il punto è un altro e riguarda una domanda che ci tormenta: cosa ci è rimasto dentro di tutto questo? Nel senso: davvero ne sappiamo molto di più rispetto a quarant’anni fa? Quando la principale linea da tenere era quella, spesso ma non sempre imposta dal sistema giornalistico e televisivo dell’epoca, dell’italiano che vince.

Una linea nazionalistica e paternalistica che aveva evidenti difetti, primo fra tutti di farci perdere grandissimi eventi senza italiani, ma anche il pregio di allargare un minimo la mente. Non fosse altro che perché era impossibile guardare più di una o due partite di calcio alla settimana.

Schiacciamo volentieri il tasto ‘Vecchio rincoglionito on’ e diciamo che questa ingestibile bulimia ci sta distruggendo: guardiamo ogni cosa con la sensazione di perderci un’altra cosa importante su un altro canale, dove potrebbe accadere qualcosa di storico o almeno di interessante. E nemmeno allarghiamo il discorso al di fuori dello sport, dove l’idea di ‘perdersi qualcosa’ è ancora più soffocante. Una pila di libri nuovi che stanno diventando meno nuovi, a partire da Houellebecq, è qui davanti ad ammonirci. Stiamo perdendo ogni prospettiva, invidiando i monomaniaci per la loro ottusità che poi è l’altra faccia della nostra.

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