La spada di Trinchieri

30 Novembre 2012 di Fabrizio Provera

Torniamo volentieri su l’Arte di Vincere, intensa pellicola sportiva trasmessa ultimamente da Sky e ripresa da Monsù Eleni. Non ce ne occupiamo in relazione alla diabolica scienza matematica che fa la fortuna di Brad Pitt, nei panni del vero Billy Beane, gm degli Oakland Athletics. Il film ci è piaciuto perché s’interseca perfettamente, secondo noi, alla vicenda umana e professionale di Andrea Trinchieri, coach della Chebolletta Cantù.

Trinchieri, arrivato alla corte canturina nel 2009, ha fatto incetta di premi personali, colto una finale scudetto, vinto una Supercoppa, riportato Cantucky ai fasti europei dopo anni di oblio. Andrea Trinchieri ha una personalità alquanto interessante: mai banale e scontato nelle dichiarazioni, ama molto l’evocazione colta. Cita Churchill, Sun Tzu, ha una grande passione per il cinema. E’ cosmopolita per nascita, figlio dell’ex console americano di stanza a Milano. Con la sua visione di gioco, l’esaltazione di giocatori come Micov o Markoishvili, il tentativo riuscito di proporre un gioco frizzante senza farcire il roster di giocatori americani (anzi, il coach canturino è un amante dichiarato della scuola jugoslava e di giocatori come Sasha Danilovic), Trinchieri ha costruito una scuola e uno stile.

A Cantucky tantissimi lo apprezzano, il sottoscritto in primis, ma diversi altri non ne colgono – a nostro avviso -il valore profondo e indiscusso, e lo criticano aspramente. Capita, ci mancherebbe. I palati fini, che ricordano tecnici come Taurisano, Bianchini ed altri, hanno però capito di che stoffa (pregiata) sia fatto il coach milanese. Che è contrattualizzato con Cantucky sino al 2014, quando è molto probabile gli arriverà un’offerta più ricca e prestigiosa, come accade a Billy Beane nel tempio dei Boston Red Sox. Ecco, noi sogniamo che Trinchieri dica no, opponga un secco diniego e rimanga a Cantucky, cullando il sogno di riportare un grande trofeo nella terra di Marzorati e Antonello Riva. Magari lo farà quest’anno o il prossimo, chissà. Se anche così fosse, è un motivo in più per restare a Cucciago (tanto, per il nuovo palazzo ci sarà da attendere..).

Trincheiri-Billy Beane è l’unico coach italiano di pallacanestro a conoscere, metaforicamente, l’uso della spada: nei nostri giorni la spada è ormai del tutto superata come arma da guerra. A nessuno viene in mente l’idea di affilare una spada per andare a combattere. Ciò nonostante, in tutti gli eserciti dei paesi civilizzati gli ufficiali la portano nelle grandi occasioni. In un’epoca in cui la scomparsa della spada come arma è completa, come simbolo resta immutabile, tanto da non potersi concepire un’ufficiale senza di essa. Qual è il motivo di questa sopravvivenza della spada come simbolo? La spada è rimasta legata ad una serie di aspetti poetici ed eroici, simbolici della cavalleria e della dignità umana ad essa strettamente associati. Perciò nella lama c’è non solo l’eccellente qualità del materiale utilizzato per la  sua fattura, ma anche la bellezza della forma. La tecnica è la spada di Andrea Trinchieri, capace più di ogni altro nel dare fisionomia tecnica e tattica alle sue formazioni. Cantucky in primis. Se dovessero arrivare dei ricchi epuloni in stile Red Sox, magari dalle parti di piazzale Stuparich a Milano, sogniamo che Trinchieri-Beane ringrazi, intaschi la maxi offerta e poi rifiuti. Lasciateci sognare, almeno un altro poco. E non è un caso che noi si scriva questo articolo dopo la disfatta con il Khimki.

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