La nazione del Kaiser

11 Febbraio 2010 di Simone Basso

di Simone Basso

Ci sono personalità che non possono essere descritte compiutamente. Perchè, malgrado tutto, sfuggono al loro mondo d’elezione trasformandosi senza volontà alcuna in icone popolari. Franz Klammer, il più grande discesista della storia dello sci alpino, visse la vertigine di rappresentare un’intera nazione come nessuno fece, prima e dopo, nello sport.
Nemmeno Maradona per gli argentini e Drazen Petrovic per i croati abitarono così a lungo lo scarto impercettibile, ma decisivo, che divide il mito sportivo dall’omniscienza nazionale più inspiegabile. Kaiser Franz divenne tale dominando l’esercizio atletico che meglio incarna la vis austriaca: l’ideale coraggioso e folle di sfidare il baratro di ghiaccio e neve ed uscirne, ogni volta, sempre più forti e fragili. Usando le parole spietate di Thomas Bernhard, il suo ossimoro nestbeschmutzer: “Ogni cosa è ridicola, se paragonata alla morte”.

Klammer, tecnicamente, rivoluzionò una specialità sconvolgendola con il suo stile improbabile; opposto alla sagacia geometrica di un Russi, Franz sembrò sempre un acrobata sul filo, circense nella sua lucida temerarietà. Dalla fine del 1974, per oltre tre anni, stabilì tutti i record (in) immaginabili dei kamikaze del circo bianco. Poco importa che la Coppa generale non sia mai stata appannaggio di questo campione: il Klammer Express non ebbe bisogno di quel trofeo di cristallo, in quanto visse di imprese impossibili e mai più nemmeno pensate. Nel 1975 comunque se la giocò a poker con Thoeni e Stenmark nel parallelo della Val Gardena; proprio quella stagione fece filotto sulle cinque piste più difficili e pericolose del mondo: Val d’Isère, Garmisch Partenkirchen, Wengen, Kitzbuhel e Val Gardena.
Per un anno esatto, dal 10 Gennaio 1976 al 22 Gennaio 1977, fu imbattuto ed imbattibile; una striscia leggendaria di nove gare più una, ovvero l’evento che lo trasfigurò in un mito. L’Austria intera trattenne il respiro per il suo figliol prodigo che a Innsbruck si aggiudicò l’oro olimpico: vinse alla sua maniera, recuperando lo svantaggio accumulato nei due terzi di picchiata con un finale strepitoso. Quei due minuti scarsi di tuffo nel vuoto furono come l’epilogo della nona mahleriana: ne consacrarono la leggenda, anticipandone il declino. Appena ventiquattrenne svanì quasi improvvisamente, travolto da una serie di avvenimenti che lo resero umano.Prometeo con gli sci, nauseato e confuso da una popolarità claustrofobica, scontò il cambio di materiali da Fischer a Kneissel e soprattutto somatizzò il senso di colpa di una tragedia famigliare. L’incidente in gara del fratellino Klaus, che si frantumò la schiena rimanendo paralizzato, fu il buco nero della carriera: da lì cominciò un baratro cupissimo, decadente. Perse addirittura anche il posto nella nazionale schierata a Lake Placid 1980, non riuscendo quindi a difendere nemmeno il titolo di quattro anni prima. Imprigionato in una mediocrità umiliante, finì per galleggiare tristemente nel terzo gruppo di merito: la sua vicenda divenne uno psicodramma di massa, seguito da tutta l’Austria. Quasi quattro anni di digiuno e, il 6 Dicembre 1981 in Val d’Isère, la rinascita ormai insperata: quel dì pianse di gioia un popolo, compreso l’amico Niki Lauda, l’altro dioscuro di quell’era.
Klammer nel 1983 portò a casa la quinta Coppa di discesa e chiuse definitivamente i conti con la storia: lo fece il 21 Gennaio 1984, da fuoriclasse inarrivabile, cogliendo il quarto scalpo sulla sacra Streif, l’Aleph dello sport invernale. Percorse l’Hausbergkante volando, con la sicurezza spavalda di chi ha un appuntamento con l’immortalità. Precedette il suo erede sfortunato, Anton Steiner; un sopravvissuto come il grande Roland Collombin, il rivale generazionale che il fato gli tolse.
Il fantasma di quel Franz Klammer convive benissimo con l’uomo ricco e soddisfatto di oggi; in comune hanno lo sguardo matto, da discesista vero, e la consapevolezza orgogliosa di un’avventura sportiva irriproducibile. Perchè nessun atleta, tranne il Kaiser delle picchiate, è stato da solo, per un istante infinito, una patria.
Simone Basso
(in esclusiva per Indiscreto)
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