La mimica di Mazzarri

15 Marzo 2012 di Anna Laura

di Anna Laura
Il provicialismo impera, si è visto anche a Londra. Il Napoli ha dimostrato che non si puote ciò che si vuole. La sindrome di Ibra ha pervaso l’Italia e ha toccato anche chi vale molto meno di lui. Hamsik, Cavani, Lavezzi hanno mostrato il loro valore internazionale. Il loro valore è internazionale è zero. In Champions, s’intende, più precisamente quando più conta. Ibrahite acuta. Naturalmente ci si atteggia, ma il succo è il limite che si staglia chiarissimo ogni volta che rimani solo con te stesso. Gli atteggiamenti arroganti, le pettinature, i tatuaggi, tutto fa brodo. Non ultimo il linguaggio, la fantomatica comunicazione…
Che ridere (eufemismo) sentirli rispondere alle stesse domande sempre alla stessa maniera. Il provincialismo dialettico produce una dialettica provinciale e, a seguire, un calcio provinciale. In una provinciale il campione esprime valori relativi, lo stesso dicasi degli allenatori. Mazzarri a Londra mostrava la solita mimica del San Paolo e i soliti gesti da allenatore ibraicizzato. Diverso Di Matteo , nelle pulsioni, nella gestione british dell’aspetto emotivo, una sorta di trasmissione di fiducia nella vittoria (magari avrà contato anche il fatto che i vecchi non gli hanno giocato contro). Ecco che cosa manca a noi in Italia, manca la novità di un linguaggio vero che trasmetta emozioni vere e attraverso questa operazione esorcizzare quelle che sono negative. Una operazione simile all’ossessione a cui si riferiva il vituperato Mourinho. Senza un linguaggio adeguato, anche la conoscenza latita. Prendiamo il linguaggio di Mazzarri? Tutto basato su continue sollecitazioni. E quello di Conte? O di Allegri? Nella conferenza prepartita di martedi Mourinho, parlando dell’Inter, ha detto in ventisette secondi il quintuplo di quelle dette da Ranieri in tema di emotività in tutte le interviste che ho sentito. C’era autostima, fiducia, constatazione, scelta di campo, consapevolezza. Ecco, Mourinho è autentico. Special One per via della sua autenticità, del suo linguaggio, della traduzione che fa dell’emotività in parole, predicati verbali. Non certo per le vittorie, la Champions può vincerla anche l’Apoel. Se il calcio è “sogno” allora sognare sgrammaticato come in Italia produce paralisi nei momenti che contano, creando danni che non si estinguono.
Anna Laura, 16 marzo 2012

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