La leggenda del rugby padre del calcio

28 Dicembre 2008 di Stefano Olivari

Il football iniziò a penetrare nelle scuole inglesi nel Seicento, nonostante gli estremisti dell’imperante Puritanesimo lo giudicassero troppo frivolo. Fu proprio in questo periodo che si vietò la pratica sportiva alla domenica, giorno consacrato al Signore. Un divieto che divenne uso in tutto il mondo britannico e più in generale nel Commonwealth, e che è rimasto nella tradizione fino ai tempi moderni. Senza arrivare al gran rifiuto dello scozzese Eric Liddell alle Olimpiadi di Parigi 1924 (i cento metri la gara nel giorno sbagliato, ma poi il futuro missionario, dopo il bronzo nei duecento, fece la grande impresa nei quattrocento) o ai problemi più recenti del triplista Jonathan Edwards (che adesso ha avuto una crisi mistica al contrario ed è laicissimo), basti pensare alle difficoltà avute dal torneo di Wimbledon per spostare alla domenica la finale del singolare maschile. Domenica a parte, solo nell’Ottocento il football fu lasciato in pace, ed entrò nella maggior parte delle scuole. Regole libere, ogni istituto aveva la sua. Per non parlare della tattica: Eton e Harrow puntavano sui virtuosismi individuali, mentre Cheltenham e Rugby avevano un gioco più organizzato e fisico. Si diffuse l’idea che lo sport tenesse lontani i giovani dagli alcolici e da altri vizi, così molte scuole investirono energie e soldi nel formare delle buone squadre di football. Anche scuole di prestigio, dimenticando l’origine popolare di questa disciplina.
Nel 1823 un’altra svolta. Durante una partita di football con ventuno (ma c’è chi dice di più) giocatori in campo per squadra un allievo sedicenne della Rugby School, William Webb Ellis, fece uno storico gol (o meta) portandosi la palla sotto il braccio per tutto il campo, visto che il prenderla e portarla, senza giocarla, non era espressamente proibito. In quel momento, secondo la leggenda nacque il rugby, che in tutta la prima fase della sua esistenza rimase uno sport praticato quasi solo a scuola. Ma a questo gesto viene attribuita una grande valenza simbolica e i simboli, almeno quelli non portatori di odio e morte, vanno rispettati. Quindi onore a Webb Ellis, che non a caso oggi dà il nome al trofeo alzato dai vincitori della Coppa del Mondo di rugby. E che pur sapendo di aver trasgredito le regole più comuni del football non si rese conto di essere diventato il creatore di un nuovo sport. La glorificazione avvenne diversi anni dopo la morte, grazie a un vecchio compagno di scuola che scrisse un articolo sul famoso (adesso) episodio del 1823. Una glorificazione fra l’altro infondata, secondo molti cultori del rugby, che considerano Jem Mackie, campione degli anni Trenta (dell’Ottocento) il vero artefice di questa scissione. Ma stiamo divagando, quindi non addentriamoci nella materia e consideriamo Ellis per quello che è: un simbolo.
Nel 1846 Thomas Arnold, direttore della Rugby School, organizzò in un libro una serie di regole scritte, con il nobile intento di trovare una sintesi per tutti particolarismi. Secondo le norme di Arnold si potevano tirare calci agli avversari, ma solo sotto il ginocchio, e soprattutto si permetteva di toccare la palla, che non era ancora ovale (lo sarebbe diventata ufficialmente solo nel 1892) di mano. La concorrenza fra football e rugby, con le loro infinite varianti, andò avanti fino al 1863, anno nel quale successe veramente di tutto. All’Università di Cambridge, dove fin dal 1848 allievi di varie scuole si riunivano periodicamente per trovare un comune denominatore accettato da tutti, si arrivò finalmente a una posizione unitaria. Furono abolite alcune violenze come il calcio negli stinchi e la trattenuta. Tutti più o meno d’accordo, pervasi da spirito collaborativo, fino a quando la maggioranza espresse disapprovazione per il portare la palla con le mani: fu proprio a questo punto che il gruppo di Rugby si ritirò dai lavori. Questi puristi potevano accettare l’abolizione del calcio negli stinchi, che poi in effetti sarebbe stato bandito anche dal regolamento del rugby, ma non la possibilità di portare il pallone con le mani, essenza stessa di quello che a tutti gli effetti era ormai un altro sport.
Il 25 ottobre 1863 undici fra club e scuole di Londra mandarono loro rappresentanti alla Freemason’s Tavern, per mettere nero su bianco regole fondamentali del gioco. Era nata la Football Association. Si andò avanti a dialogare con i rugbisti duri e puri, ma alla fine la scissione fu inevitabile: l’8 dicembre 1863 calcio e rugby si separarono. Con la frattura che diventò insanabile sei anni dopo quando il calcio proibì non solo di portare la palla, ma anche solo di toccarla con le mani. Tutto questo porta a una conclusione poco ideologica, per dirimere una questione da bar (storico) dello sport: il rugby non è padre del calcio, come spesso si sente dire, né il calcio è padre del rugby, ma fra le due semplicistiche affermazioni la meno sbagliata è la seconda. Entrambi discendono da un ceppo comune, per buona parte dell’Ottocento hanno convissuto anche con un sistema di regole simili a quelli attuali, nessuno può vantare patenti di nobiltà superiori all’altro. Ma il ceppo comune, anche tenendo conto delle tante varianti, assomiglia molto di più alla versione moderna del calcio che a quella del rugby.
Stefano Olivari
stefano@indiscreto.it
(Mondiale dà appuntamento a domenica 11 gennaio 2009)
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