Italian Fast Food, quando andavamo da Wendy’s

25 Agosto 2022 di Stefano Olivari

Crediamo in certi segnali. La settimana scorsa abbiamo incontrato una meravigliosa Susanna Messaggio di fronte a un negozio e l’altroieri è morto Gino Cogliandro. Possiamo quindi dire che una mano invisibile ci abbia guidato a scrivere questo post su Italian Fast Food, film del 1986 che non abbiamo bisogno di rivedere: un po’ perché lo conosciamo a memoria e un po’ perché era ed è rimasto di una bruttezza terrificante. Che non rende giustizia alla trasmissione televisiva da cui deriva, cioè lo storico Drive In di Italia 1.

Senza la mano di Antonio Ricci ed una sceneggiatura almeno abbozzata i Trettré, Carlo Pistarino, Enzo Braschi e Sergio Vastano pur riproponendo personaggi e tormentoni televisivi vanno incontro all’incubo di ogni comico: quello di non far ridere. Va detto che a parte Vastano, il calabrese bocconiano dal libretto universitario intonso, gli altri non ci facevano ridere nemmeno a Drive In: Pistarino fastidioso nel suo non strappare nemmeno un sorriso, Braschi legato a un personaggio solo, i Trettré come altri napoletani convinti che l’unico requisito per far ridere sia essere di Napoli. Ma in ogni caso il film di Lodovico Gasperini con il marchio dei Vanzina (anche i grandi sbagliano) è una pietra miliare del trash italiano di ambientazione milanese. Trash in cui si infila anche la Messaggio, cameriera di di Wendy’s ed aspirante attrice.

Wendy’s, che dagli anni Novanta in Italia non c’è più, in Italian Fast food è il vero Wendy’s: prima catena americana di fast food a diffondersi in Italia, prima ancora di Mc Donald’s. Da ricordare per gli hamburger quadrati e soprattutto per le insalate self service, in un’isola al centro dei vari locali sparsi per la città, che introdussero (almeno per noi della già trumpiana periferia ovest) il concetto di dressing. I locali Wendy’s in Italia sarebbero stati inglobati da Burghy, a sua volta poi inghiottito da McDonald’s, ma nel nostro cuore occupano lo stesso posto di Quick, Burger One ed ovviamente di Burghy (all’alba del millennio arrivammo al punto, davvero di non ritorno, di andare apposta in uno degli ultimi rimasti con il marchio originale, a Casalecchio di Reno).

Nello Wendy’s del film il fast food è diretto da Mirko Setaro, con gli altri due Trettré, Edoardo Romano e appunto Cogliandro, in cucina e alle pulizie e le gag sono così squallide da non essere nemmeno raccontabili. Incommentabile quella di Pistarino, fattorino scambiato per fotografo di moda, che scopre che la modella che gli si sta per concedere, una peraltro divina Lisa Stothard, ha l’AIDS (ma è un equivoco anche questo). Tristissima quella del paninaro Braschi che si vuole infiltrare in un locale frequentato da punk. E cosa dire di Anna Galiena in versione sadomaso?

Il finale con matrimonio in Calabria con Braschi che si converte alla pasta e la Messaggio incinta (un cuscino messo sotto il vestito con rara sciatteria) è osceno. Da salvare soltanto Vastano che si infiltra alla festa di Giorgio Aleari (“Giorgio Aleari – Io, il manager” la copertina della rivista ‘Manager’ rubata da Vastano in un’edicola in piazza Cairoli) e sdottora sulla Borsa. In Italian Fast Food non si ride davvero mai e quelli che fanno ridere meno sono i Trettré, ma rimane il fatto che Italian Fast Food sia un film immaginabile soltanto nel 1986. Ci abbiamo ripensato, lo rivedremo.

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