Il vero volto di James Bond

20 Luglio 2012 di Alvaro Delmo

007 Gunbarrel

Il primo film ispirato ai romanzi di Ian Fleming dedicati all’agente segreto britannico James Bond uscì nel 1962. Il titolo italiano era Licenza di uccidere (in inglese Dr. No), capostipite di una saga di successo durata per 50 anni fino ai giorni nostri, con un avvicendarsi di attori nel ruolo di 007.

Si parte ovviamente con Sean Connery, fino ad allora piuttosto sconosciuto e che diventò rapidamente famoso grazie a questi lavori. Per molti è lui l’unico e inimitabile dicitore della frase “il mio nome è Bond, James Bond”, doppiato – così come alcuni suoi successori  – magistralmente da Pino Locchi.

In realtà la scelta di Connery non fu la prima dei produttori, poiché vennero presi in considerazione diversi candidati da Cary Grant a Roger Moore passando per David Niven. Un paio di questi lo interpretarono dopo qualche anno ma a spuntarla all’epoca fu alla fine il bruno trentaduenne scozzese che, sigaretta tra le labbra, si presentò al pubblico mentre giocava allo Chemin de Fer.

Amore a prima vista con gli spettatori (e le cosiddette bond girl) e nascita di un mito. Per cinque volte di seguito – dal 1962 al 1967 – Connery portò quindi sul grande schermo il personaggio di Fleming con buona lena, ironia e azione. Il migliore di questo periodo per noi è Missione Goldfinger, anche grazie al suo straordinario avversario interpretato dal tedesco Gert Fröbe, per l’occasione non membro o capo della fantomatica SPECTRE. A seguire in graduatoria il lungo e cupo nelle sue parti sottomarine Thunderball: Operazione tuono, con un Adolfo Celi d’annata.

A succedere a Connery, temporaneamente, fu l’australiano George Lazenby in quello che è probabilmente uno dei capolavori della serie, ossia Al servizio segreto di sua maestà del 1969. Bella storia, personaggio più simile caratterialmente a quello letterario, ambientazione affascinante, Blofeld doc (Telly Savalas). C’era tutto in questa produzione per far sì che a Lazenby potesse essere data anche una seconda occasione, ma alla fine rientrò a furor di popolo un Connery ultraquarantenne tuffatosi direttamente in Una cascata di diamanti (1972).

Noi riteniamo che fu una scelta sbagliata, parzialmente corretta con l’avvento di Roger Moore, capace di portare di par suo l’humour inglese ai massimi livelli in ben sette film. In questo caso il top è rappresentato da La spia che mi amava (1977), quello della mitica Lotus sottomarina, con l’attore londinese che è comunque riuscito a non far dimenticare Connery nell’immaginario collettivo. Più volte del resto siamo stati partecipi di discussioni su chi fosse tra i due il vero James Bond…

Ormai oltre il limite d’età credibile, Moore lasciò il testimone a Timothy Dalton che durò solo due film – usciti nel 1987 e 1989 – senza riuscire a stregare veramente il pubblico, pur fornendo una caratterizzazione molto personale di 007, a differenza dell’irlandese Pierce Brosnan. Quest’ultimo ha di fatto dato nuova vita alla saga con una serie di film spettacolari (dal 1995 al 2002) che però secondo noi hanno solo a tratti ripetuto quella formula che – al di là dei nomi e del tema – ti faceva esclamare “finalmente James Bond”, confondendosi invece sostanzialmente con uno dei tanti lungometraggi di azione che Hollywood sforna ogni anno. Ecco un po’ di magia in più è tornata secondo noi con Casino Royale del 2006, e il volto poco noto ma azzeccato di Daniel Craig. Qualcuno però magari storcerà il naso…

Alvaro Delmo, 20 luglio 2012

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