Il pubblico di Battiato

5 Agosto 2011 di Andrea Ferrari

di Andrea Ferrari
Impressioni al concerto di un musicista che ha portato la canzone d’autore in una nuova dimensione, abbattendo gli steccati ideologici. E pazienza se in tanti hanno scoperto ‘Voglio vederti danzare’ grazie al remix di Prezioso…

“Scusate, sono un po’ rincoglionito”, dice poco prima di attaccare uno degli ultimi pezzi di una cavalcata durata quasi due ore. Un’affermazione che potrebbe apparire persino condivisibile ripensando alla quasi caduta al momento del suo ingresso in scena sulle note di “Up patriots to arms”, pezzo del 1980 che dà anche il nome a questo tour, in cui l’artista catanese, i cui primi dischi uscirono allegati ad una rivista di enigmistica(!), propone una sorta di greatest hits in chiave rock.
Eppure il concerto del sessantaseienne Franco Battiato, che si propone in una tenuta a metà tra il Fantozzi con pantalone ascellare ed il professore universitario un po’ eccentrico, dimostra da un lato la genialità assoluta delle sue opere e dall’altro quanto la musica stessa finisca alla fine per soverchiarne l’autore, una sorta di tragedia greca in cui l’invecchiamento e tutte le sue infauste conseguenze sul fisico (Massimo Fini ha scritto un libro esemplare sull’argomento) abbiano effetti inversamente proporzionali sulle canzoni, che più passa il tempo e più appaiono belle.
Una sorta di miracolo che si riverbera su quel pubblico (tra le 2000 e le 5000 persone, a seconda dei momenti) che affolla il villaggio del carnevale di Viareggio e che posso definire come il più trasversale, per età ed estrazione sociale, in cui mi sia mai imbattuto ad un concerto: dalle distinte amiche settantenni che seguono il concerto sedute e che potremmo tranquillamente incontrare alla prima della Scala al teenager discotecaro, che probabilmente si è imbattuto per la prima volta in Battiato sulle note del remix di “Voglio vederti danzare” ad opera di Prezioso, passando per famiglie intere, emo, paninari invecchiati e sessantottini sempre più imbolsiti.
Tutti insieme appassionatamente ad un concerto che cade nel trentennale de “La voce del padrone”,
un album per cui l’aggettivo epocale è tutto fuorché fuori posto se si pensa, non solo al record di vendite (fu il primo a sfondare quota un milione) ma anche all’impatto di pezzi come “Centro di gravità permanente” e “Cuccuruccucu” nei confronti di quei dogmi che fin lì mettevano rigidi steccati tra musica d’autore “impegnata” e pop-dance facendo da apripista, a suo modo, a quella scena musicale italiana degli anni Ottanta, che da lì in avanti si sarebbe finalmente affrancata da ideologismi micragnosi aprendosi al contempo ad una platea più internazionale. Di quell’album mitico mancano dalla scaletta solo “Sentimento nuevo” e quella “Bandiera bianca” che è probabilmente il suo capolavoro più grande e più amaro. Ma va alla fine va bene così.  

Andrea Ferrari 
(In esclusiva per Indiscreto)
 

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