I pensionati dell’atletica

2 Luglio 2012 di Oscar Eleni

Oscar Eleni randagio antieroe perduto sulla Mannerheim di Helsinki per distruggersi con qualche salsicciotto finnico, per dimenticare chiese perdute di cultura e fatica. Eh sì, agli europei di atletica abbiamo ancora sentito ragazzi e ragazze italiote, di nuova e vecchia generazione, raccontare, nei penosi dopo gara di gare andate veramente male, di risultati inspiegabili che non corrispondevano al rendimento negli allenamenti. In partita è diverso, dicevano i grandi allenatori. Nell’atletica, ai tempi della vera scuola di Formia, del professor Carlo Vittori, quando sentivano queste bubbole prendevano d’acido. Se vai male in gara vuol dire che ti sei allenato poco e allenato male. Punto. Riga. Ma l’atletica è davvero lo specchio del paese dove dobbiamo vivere e la fotografia fa paura, dovrebbe  far paura a questi “tecnici” prestati alla politica che non sanno davvero di cosa stanno parlando quando vogliono fingere di aver frequentato una palestra, un campo sportivo. Nella città di Milano un  alieno capitato per caso saprebbe cosa dire agli amministratori della gente che si sono mangiati tutto, saprebbe come valutare chi parla di città europea quando ne respira le polveri sottili.

Lasciare il golfo finlandese per ballare con Johan Blake a Kingston, Giamaica, dove ci ha portato il ricordo del miglior James Bond: il ragazzo detto ‘La bestia’ si è mangiato sui 100 e sui 200 l’Usain Bolt che deve aver fatto troppe baldorie se il ministro   ha chiamato il suo allenatore domandandogli come abbiano impiegato il tempo sul campo, ammesso che ci siano stati per davvero su quei campi. Così passa  la gloria del mondo, anche se Bolt muove le grandi folle, è il superuomo dell’immaginario collettivo come Phelps che, ogni tanto, le prende da Lochte. Attenta magica Pellegrini del nuoto che i tartari sono oltre la fortezza bastiano.

Ehi, randagio, a Kiev non sei passato? Come no. Anche se sapevamo tutti come sarebbe andata a finire e il Prandelli, ringraziato e benedetto dalle Alpi  a Zafferana, si ricordi, accettando il reincarico, che presto gli rinfacceranno la squadra della riconoscenza per la finale quando ha mandato dentro gente che giurava di stare bene e, invece, era sfinita. Se invece di farsi intontire dalle vuvuzelas RAI dove gli opinionisti facevano a gara per sparare le troiadas variadas più saporite, avesse ascoltato il saggio Rivera in staffetta con il quasi saggio Mazzola, forse avrebbe scelto altri uomini per andare nell’arena contro chi è abituato a sfinire i tori e poi a piazzare la stoccata proprio in mezzo alle corna. Passare da Kiev per chiedere a tutte le famiglie degli azzurri di starsene un po’ in disparte, ma quelli non ci hanno ascoltato. Tutti a baciare i parenti, i figli prediletti e privilegiati. Ahi serva Italia sempre uguale anche quando sembra andarti bene e non tutti hanno il cioccolato bianco di papà Balotelli che non voleva proprio andarci in quel circo ucraino.

Adesso che ci ha sfracassato il senso della vita, proprio giù in basso, dicci qualcosa sul basket perché  sembra questo il tuo mondo. Caro inclita dei miei stivali sappi che in Gazzetta dello Sport dove le porte si aprirono nel 1968, Giochi del Messico, la carriera del giovane appena assunto si iniziò, per avverse fortune di altri grandi che tenevano la rubrica, come inviato agli europei di atletica che Helsinki celebrava nel 1971, anno di grazia per l’apparizione sulla scena di Mennea e Simeoni, trascurata nelle icone del calcio babbano, per l’incontro con Marcello Fiasconaro che poi diventerà, come Pietro e Sara, primatista del mondo, l’europeo dove Francesco Arese chiuse con il titolo continentale dei 1500 nel giorno di ferragosto che fece piangere tutti, ma soprattutto i giornalisti piemontesi cominciando da Romeo, Perrucca, Raineri e Ormezzano. Quel Francesco bugianein delle campestri dove diventava di ferro è ben diverso da questo presidente federale che gestisce la baracca senza ricordare niente dell’età aurea dove Nebiolo portò tutti dalla pizzeria al grand hotel scegliendo, per gloria anche sua, si capisce, gente che sapeva insegnare e farsi  seguire. Qui vanno avanti con le scuse della mutua, tutti pensionati che fingono di essere davvero impegnati nella professione durissima dell’atletica che è sport universale e quindi il più crudele di tutti.  Ti fai sfinire dai voli del telecronista che non finisce mai una frase, una storia, che pensa da saccente spacciandosi per appassionato vero, ma  non ce la fai a sopportarli tutti e allora capisci perché viene tenuto in disparte un Giorgio Rondelli che nella finale dei 1500 ha portato un ragazzo marocchino e il milanese di Serbia Goran Nava, uno che ai tempi di Cova, Panetta, Erba, dei tantri mezzofondisti della Pro Patria vera, quella del ragionier Mastropasqua, inseguiva il mondo e non le parrocchiali a buon prezzo e per questo emarginato dall’invidia collettiva che ancora oggi fa partito e politica sportiva.

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