God save the fans

22 Febbraio 2008 di Stefano Olivari

La nuova generazione di tifosi italiani è all’attacco. Finalmente. Una sferzata di italianità. In giro ovunque per l’Europa, li riconosci immediatamente, li riconosci con lo stesso criterio con cui vedi un italiano a Ibiza, Maiorca o a Sharm El Sheik, con quella poveretta aria colonizzatrice sempre scontenta e alla ricerca di un ristorante italiano o di una pizza, personaggi supponenti che non spiccicano una parola che non sia qualche parola italiana e l’intero vocabolario del proprio dialetto. Non ci sono più gli Ultras che infestano gli stadi, evviva, ora si che si sta bene, finalmente le famiglie allo stadio. I tifosi che se ne vanno in giro per l’Europa a rappresentare la nazione e le rispettive città presenziando alle partite della propria squadra non sono organizzati, non sono pericolosi, non sono aggressivi, sono ben selezionati dal limite di pazienza di attesa (o di Intesa?) di fronte alla banca quando si tratta di prenotare il biglietto, d’altronde qualsiasi sociologo da strapazzo (categoria che per decenni si è “occupata” del fenomeno violenza negli stadi), sa benissimo che uno dei limiti che dividono le persone perbene dai delinquenti è la capacità di concentrazione, e quindi di portare pazienza. I nuovi tifosi rappresentano la nostra nazione, sono la nostra faccia all’estero. Sono quelli che puoi incontrare il sabato sera nei locali cosiddetti “in”, perennemente “in lista”, impeccabili in giacca e con i cocktail colorati che scintillano nelle loro mani appena da poche ore ripulite da ruvido sapone per unto nell’officina o fabbrica di turno. E li vedi in giro per le città europee (le grandi capitali, mica Lubino, Plovdiv o Donetsk, per quei luoghi non vale la pena fare la corsa alla banca), con la sciarpa dei propri colori indosso (anche se conoscono pochi cori della propria squadra), con le loro bibbie rigorosamente appresso (Gazzetta e Gente Motori) e rapiti dai loro punti di riferimento principali, ovvero le ultime news di qualsiasi natura che compaiono puntuali sul nuovo cellulare costato mezzo stipendio ma che quando lo tiri fuori tutti si stropicciano gli occhi. Prendono souvenir e si lamentano. Mangiano e si lamentano. Prendono un mezzo pubblico e si lamentano. La vocina narratrice dice, neanche tanto a denti stretti: “Ma perchè non te ne sei rimasto nella tua provincia segreta?”. Ma non si può, i tifosi devono seguire la propria squadra, ovunque. Allo stadio entrano, occupano il loro posto rigorosamente prenotato in quelle ore di attesa (Intesa?) bancaria, se c’è qualche nostalgico Ultras che occupa il posto chiama subito lo steward, come fanno in America, là si che sanno fare a mantenere l’ordine alle partite. Se si vince si canta, se non si vince si contesta. Non c’è più fortunatamente quella assurda Mentalità Ultras che voleva i tifosi incitare la squadra e cantare per i propri colori, “sia che vinca sia che perda”, fortunatamente il calcio moderno, quel calcio italiano finalmente ora civile ora libero dalla schiavitù della teppaglia delle frange estreme della tifoseria e non è più ostaggio dei violenti, può essere libero e pronto per essere accomunato con il grande modello, il calcio inglese. I tanto bistrattati inglesi, i primi ad essere toccati dal fenomeno hooligans e i primi ad estirparlo, sacrificando qualcosa a livello di libertà allo stadio, ma concedendo uno spettacolo sempre emozionante. E oggi il nuovo calcio italiano campione del mondo, libero dalle due grandi piaghe che lo affliggevano, la corruzione e la violenza, si appresta a fare il grande salto. Ci siamo, siamo maturi abbastanza, con i tifosi nuovi che ci ritroviamo. Qualche ottuso disfattista potrebbe obiettare che, al contrario del calcio inglese, la cultura media, sia calcistica sia generale del tifoso appassionato di calcio inglese, sia di gran lunga superiore di quella del tifoso medio italiano, ma si sa, queste macchinazioni revisionistiche di disfattisti, antipatriottici o addirittura di amici degli Ultras: troveranno sempre spazio, come stampa scandalistica. God Save The Fans, The Real Fans.

Daniele Vecchi
pedrovecchi@libero.it

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