Cosa rimarrà di questi anni Zero, parte seconda

19 Gennaio 2010 di Andrea Ferrari

di Andrea Ferrari
Come il pop mainstream ha preso il posto del moribondo rock, nell’epoca in cui quasi tutti hanno preferito dominare in una nicchia invece che avere come orizzonte il mondo…

Dicevamo degli Strokes e di New York. Il baricentro, non solo musicale, del decennio se è vero che lì sono avvenuti i due fatti storici che hanno marchiato questi anni: l’attacco terroristico alle Torri gemelle e il crollo dei mostri sacri di Wall Street che ha spalancato le porte alla peggior crisi economica dal 1929. New York è anche la hometown (perdonateci l’approccio un po’ à la Gianni Bisiach) di Stefani Germanotta, alias Lady Gaga, che oltre a rappresentare l’alter ego pop degli Strokes in termini d’impatto, è anche l’autrice della frase che sintetizza bene il principale fenomeno musicale del decennio: “il pop mainstream (e spesso fatto da donne, aggiungiamo noi, ndr) è diventato la vera musica d’avanguardia prendendo il posto del rock”. 
Un paradosso del tutto veritiero se si considera che il rock, seppur con qualche talentuosa eccezione (Coldplay,  Strokes, Killers, Kings of Leon), è ormai diventato un esercizio manierista che fa sbadigliare chi se ne è interessato nel secolo scorso. E venuta meno quella linfa data sia dal ricambio generazionale che nei decenni precedenti era sempre stato all’altezza, sia dalla maturazione dei gruppi affermatisi nel decennio precedente: gli anni ‘0 invece hanno visto un’autentica decimazione delle migliori band espresse dagli anni ’90: tra tante che si sono sciolte (Smashing Pumpkins, Suede, Blur, Mansun, Soundgarden), involute (Oasis, Pearl Jam) o che hanno invece scelto di far musica soprattutto per piacere a certi critici, vedi i Radiohead, che non hanno saputo o forse voluto raccogliere la sfida che li avrebbe potuti far accedere all’olimpo dei grandissimi. Yorke e soci sono diventati invece il paradigma involontario di questi anni: meglio diventare i dominus di un “segmento”, se non di una nicchia, che tentare di rappresentare quel che è stata la forza, l’essenza del rock. Un fenomeno sociale interclassista, universale e con un’ambizione smodata. A noi l’idea che The Wall dei Pink Floyd o The Joshua Tree degli U2, in un mondo assai meno globalizzato di oggi, potesse stare in bella vista sullo scaffale del tamarro di Velletri così come su quello del professore del Mit, fa quasi commuovere. Il rock quindi è morto? Forse no, ma di sicuro il giorno che alcuni mostri sacri decideranno di smettere sarà ancor più chiaro che l’arco temporale racchiuso tra l’inizio degli anni ’60 e la fine del secolo scorso è stato unico ed irripetibile, purtroppo. 
Tornando agli anni ‘0 tocchiamo un’altra nota dota dolente a proposito degli artisti maschili. Oltremodo imbarazzante il paragone con quanto venne invece alla ribalta in altri decenni: negli anni ’80 avremmo potuto citare gente come Prince, Michael Jackson, Peter Gabriel, Springsteen, Sting… A caratterizzare in positivo questi anni sono state invece le donne. Il motivo è semplicissimo:non se ne erano mai viste così tante e così brave (o almeno “confezionate” in modo da sembrare tali) all’opera in un arco di tempo così ristretto. Da chi ha saputo emergere a tutto tondo, potendo contare anche su capacità autoriali (Amy Winehouse, Beyoncè, Lady Gaga, Alicia Keys, Norah Jones) a chi ha semplicemente saputo trovare produttori in grado di ricavarne il meglio anche in termini di presenza scenica, esempi perfetti di questo filone sono Timbaland con la Nelly Furtado di “Loose”, Pharrell Williams con Kelis in “Tasty” e i vari produttori che negli anni han lavorato con Britney Spears, Missy Elliott e Rihanna, giusto per citarne alcune. 
Andrea Ferrari
(in esclusiva per Indiscreto)

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