Corsa alla Damiani

25 Gennaio 2010 di Libeccio

di Libeccio
L’esperienza di Leonardo, gli interessi del Manchester United, il vento della Roma e la sciarpa di Mancini.


1. L’Inter impone la sua legge durissima sul campionato con una gara esemplare per assetto tattico, concentrazione, intensità di gioco, compattezza. E dire che le condizioni per una vittoria del
Milan c’erano tutte (Inter condizionata dagli infortuni e in fase calante nelle ultime gare, Milan invece con il vento non solo mediatico in poppo). La sconfitta riaprirà le polemiche sulla scarsa esperienza di Leonardo (che quando vinceva era quindi esperto), l’immobilità della squadra, le scelte di mercato non sempre lineari. Diceva Flipper Damiani, ieri sera in tv, che anche a 60 anni (quelli che ha) di sicuro avrebbe corso molto di più di quanto abbiano fatto durante la gara Pirlo, Beckham e Ronaldinho. Come al solito in Italia si esagera in un senso e poi nell’altro (e nessuno dei tre citati ha Damiani come procuratore, giova ricordare). Leonardo prima tonto e poi geniale, attaccato da tutti e poi da tutti applaudito. Ronaldinho prima descritto come un ex giocatore, poi celebrato come affetto da seconda strabiliante giovinezza. La verità? Meglio pensare alla Champions.
2. Tutto il mondo è paese? Per anni ci hanno detto (e noi lo credevamo anche) che le squadre inglesi fossero maestre nella buona (corretta) gestione del calcio, al contrario di quelle nostrane, piene di debiti e ancora archeologiche in termini di modelli di gestione che approcciano al calcio in chiave di marketing e quindi segmentano ogni ambito sfruttabile commercialmente e lo incrociano a prodotti appetibili da collocare nel frastagliato mondo del tifo e non. La società inglese al top di questo tipo di impostazione è stata da sempre il Manchester United, che ora si scopre essere stato gestito come una squadra italiana qualsiasi, tanto da accumulare una massa debitoria di quasi un miliardo di euro (quasi l’intero debito del campionato di calcio italiano). Ma se il Manchester la fa da padrone in tema di debiti, gli altri attori del calcio inglese non sono da meno. Si parte dai 130 milioni del Chelsea, per passare ai 380 milioni dell’Arsenal, ai 440 milioni del Liverpool, per arrivare infine ai 964 milioni
del Manchester United. Quasi 2 mila miliardi di vecchie lire. Detto ciò, occorre precisare che non tutti i debiti del calcio inglese sono uguali (e non solo per dimensioni). I debiti del Chelsea sono quasi tutti nei confronti del magnate russo Abramovich, il quale potrebbe, volendo, estinguerli in un batter d’occhio (tipo Moratti con l’Inter, per intenderci). Quelli dell’Arsenal sono quasi interamente legati alla costruzione del mega-stadio di Ashburton Grove, in altre parole sono una specie di mutuo e potrebbero
addirittura essere iscritti alla voce investimenti indiretti. Anche secondo la Uefa (che ha aperto un focus sul fenomeno) questo tipo di esposizione è – tutto sommato – accettabile. Diverso invece, e assai più rischioso, il rosso di Liverpool e Manchester United. In entrambi casi si tratta quasi esclusivamente di debiti verso le banche contratti per l’acquisto del club stesso. Un escamotage – quello tecnicamente detto del «leveraged buy-out» – che ha fatto molto discutere e funziona più o meno nel seguente modo: per comprare il Manchester United l’attuale proprietà ha chiesto un prestito di poniamo 500 milioni di euro ad una nota banca inglese. Ottenuto il prestito e comprata la più gloriosa società britannica la medesima proprietà ha chiesto attraverso il Manchester United un nuovo prestito di 600 milioni di euro alla stessa banca che lo ha nuovamente autorizzato. Dopo averlo ottenuto la proprietà restituisce i soldi alla banca che in origine le aveva accordato il prestito per l’acquisto del club. Risultato? La proprietà ha comprato il Manchester senza tirare fuori una sterlina (e senza avere più debiti) e lo United si trova invece con un debito di 600 milioni di euro (solo di interessi il Man U paga circa 38 milioni di euro l’anno). Bravi, no? Basta solo trovare una banca che si presti al giochetto: la vera abilità, chiamiamola così, è questa. 
3. La Juve esce malconcia dalla sconfitta della gara con la Roma e Ciro Ferrara è oramai vicinissimo al commiato. Come è noto è sempre l’anello più debole a saltare e nella Juve, nonostante siano tanti i responsabili del quasi disastro stagionale che si sta consumando, sarà solo Ferrara a pagare il dovuto. La Juve avrebbe la possibilità di comportarsi da Juve confermando Ferrara senza se e senza ma almeno fino alla fine del campionato, ma non lo farà per eccesso di debolezza, necessità di risultati subito e ad ogni costo, lo spauracchio (sistematico confronto) del vecchio blasone che incombe su ogni cosa. Sull’altro lato invece la Roma e Ranieri si prendono una soddisfazione enorme, dimostrando che nel calcio si può passare dall’abisso al paradiso in pochi, impalpabili istanti. Solo pochi mesi fa la Roma era sul punto di implodere, ora è a ridosso della vetta e viaggia con vento favorevole. Visto che Spalletti e Ranieri sono della stessa categoria e che Toni per quanto utile è quasi al capolinea, si può dire che non sia cambiato niente: il calcio è spesso senza senso.
4. Moratti e tutta l’area commerciale dell’Inter si stanno mangiando le mani per non aver sfruttato come la situazione avrebbe consentito le sciarpe di Mancini quando allenava l’Inter (già allora le portava esattamente così). A Manchester è diventato il primo gadget venduto, in quantità mai raggiunte nella storia della società. Anche tifosi di altre squadre lo comprano, anche se immaginiamo che fra gli acquirenti non ci sia il c.t. Capello, rivale quando entrambi si sono incrociati da allenatori ma soprattutto nemico del Mancini giocatore (ai tempi di Bologna e Sampdoria), con il quale quasi venne alle mani. Amici residenti a Manchester ci dicono che non si può capire l’innamoramento collettivo della città celeste per il Mancini Style, al momento accompagnato anche dalle vittorie (l’ultima ieri sullo Scunthorpe). Siccome quando si esce dall’Italia si muore mediaticamente (a Barzagli essere il miglior difensore della Bundesliga non è servito per essere preferito a Gamberini e Legrottaglie), la cosa ci fa piacere. Difficile che torni in Italia in una squadra del suo rango, gli ‘uomini di calcio’ gliel’hanno giurata.
Libeccio
(in esclusiva per Indiscreto)

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