Zork e il fascino delle avventure testuali

La retrorecensione del gioco simbolo di un genere semidimenticato, popolarissimo nei primi anni Ottanta...

7 Maggio 2021 di Paolo Morati

C’era una volta un mondo in cui per vivere un’avventura su un computer bastavano due semplici azioni: leggere e scrivere, oltre che ovviamente ragionare. Dobbiamo tornare indietro al 1980 quando venne pubblicato Zork, esponente di culto di un genere fondamentale per l’evoluzione dei videogiochi: le avventure testuali. Sviluppato dalla neonata Infocom, creata da un gruppo di ex MIT, Zork metteva il giocatore alla ricerca di una serie di tesori all’interno di un pericoloso mondo tutto da immaginare leggendo le descrizioni offerte sullo schermo.

Niente grafica (ed effetti sonori) infatti in Zork, ma solo un racconto per capire gli spazi dove muoversi, raccogliere oggetti, interagire con l’ambiente circostante. Il tutto utilizzando un’interfaccia (in gergo parser) per l’epoca particolarmente innovativa, basata su una macchina virtuale e in grado di comprendere frasi complesse. Oltre alla storia coinvolgente e ai tanti enigmi da risolvere, in aggiunta ai nemici da combattere, il punto di forza della prima trilogia di Zork (tre di fatto i capitoli rilasciati inizialmente, derivati da una prima versione unica per mainframe) era appunto l’interazione intelligente fondata esclusivamente sulle nostre capacità di immaginazione e quindi elaborazione di un mondo invisibile ai nostri occhi.

Per spostarsi e svolgere azioni in Zork non solo si potevano digitare le lettere relative ai diversi punti cardinali, ma anche formulare frasi strutturate. Tutto rigorosamente in inglese, per cui chi non masticava bene la lingua doveva almeno accompagnarsi a un dizionario per capire cosa ‘vedeva’ e come muoversi. Fondamentale anche avere carta e penna per tracciare una mappa. Disponibile per innumerevoli piattaforme – e con tanti seguiti, noi lo abbiamo giocato qualche anno dopo l’uscita – tutto lontanissimo da quello che sarebbe arrivato da lì a venire sugli schermi, ma ancora oggi bellissimo da affrontare per chi si sente ancora in grado di divertirsi senza guardare e sentire. “You’re standing in an open field west of a white house…“.

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