In the box
Un secolo di gioco
Stefano Olivari 13/06/2007
C’è ancora qualcosa di bello, in questo calcio malandato. Qualcosa che ci allontana dalle brutture di ultime giornate di campionato “virtuali”, dove chi si lamenta perchè una Grande non ha dato il massimo a sua volta magari va a vincere con una certa scioltezza in trasferta, su campi che solo un mese prima l’avrebbe visto soccombere. Dove le partite si finisce per giocarle al 15° minuto del secondo tempo e la stessa può essere portata a termine anche con giocatori in mutande o con magliette rovesciate. Questo però in Italia l’abbiamo visto da sempre e quest’anno, quando le vergini immacolate dovevano farla da padrone, non ha certo fatta differenza.
Ci sono però anche belle storie, non è colpa nostra se non sono italiane. Una ad esempio è quella del Middlesex Wanderers Association Football Club. Questa società/struttura venne fondata nel 1905 – inizialmente con il nome di Richmond Town Wanderers – dai fratelli Bob e Horace Alaway. La particolarità di questo club però non è quella di aver conquistato vittorie prestigiose e significative in giro per il mondo (se no sarebbe sicuramente molto più conosciuto) ma quella, fin dalla sua creazione, di promuovere l’amicizia e le buone relazioni con altri club calcstici nel mondo. Di dare la possibilità a giocatori britannici non professionisti di fare tour e viaggi all’estero. In generale di essere conosciuto a livello mondiale come una struttura amatoriale che cerca di riportare il calcio alle sue origini primordiali, al “gioco per il gusto di giocare”. I giocatori selezionabili per questa compagine sono tutti i dilettanti delle quattro nazioni che compongono la Gran Bretagna, con un particolare legame con il Queen’s Park di Glasgow. Che oggi gioca nella Second Division Scozzese (terzo livello) e hanno mantenuto sempre uno status dilettantistico. Altra particolarità è data dal fatto che di solito il Queen’s Park gioca le sue partite casalinghe nell’immenso Hampden Park (vista la scarsa affluenza, però, solitamente viene aperta al pubblico la sola tribuna centrale). I giocatori selezionati, anche oggi, non ricevono nessun tipo di compenso, anzi ci si aspetta di solito che partecipino alle spese di trasferta e organizzazione.
Vista la struttura e la possibilità per giocatori di Dagenham & Redbridge, Morecambe, eccetera, di farsi viaggi all’estero, il Middlesex Wanderers può essere visto un po’ come una versione calcistica dei British Lions del rugby, anche se qui le finalità e l’ambientazione sono completamente diversi. All’inizio le trasferte dei Wanderers erano tutte concentrate in Europa, con intento primario quello di promuovere il gioco sul Continente. La trasferta più lontana, prima della Seconda Guerra Mondiale, fu quella del 1939 in Turchia. Dopo la fine di quella catastrofe molto cambiò e i Wanderers cominciarono ad indirizzare le loro tournèe verso i Paesi africani o asiatici. Nel 1960 si recarono in Nigeria, per festeggiare l’indipendenza appena conquistata dal Paese. Nel 1967 ci fu un tour impegnativo che toccò sei Paesi dell’area asiatica, compresi Giappone e Corea del Sud. Nel 1977 addirittura il Middlesex Wanderers partecipò alla prestigiosa President’s Cup, che in Corea ha una grande importanza. Nel 2003 fu poi la volta del Gambia e nel 2005 ancora Giappone con la selezione britannica che andò ad affrontare partite anche con professionisti come la squadra dello Shimizu S-Pulse. Nella terra del Sol Levante i Wanderers sono famosissimi e in quest’ultima occasione sono stati invitati per celebrare il centenario della locale Federazione calcistica (nei mesi precedenti una squadra giapponese era stata ospitata in Inghilterra dal Middlesex e la partita si era giocata sul terreno del Dagenham).
Ultimamente anche le società dilettantistiche, che sono sempre state il serbatoio per il Middlesex Wanderers, sono sempre più restie a lasciare i loro giocatori per tournèe a rischio infortuni in giro per il mondo. Sembrano proprio lontani i tempi – eravamo nel 1960- nei quali la stessa Football Association aveva dato l’incarico ai responsabili del Middlesex di allestire la squadra di calcio che avrebbe rappresentato la Gran Bretagna alle Olimpiadi di Roma. Speriamo quantomeno che in futuro questa struttura possa sopravvivere e non venire sbranata dal vorace “calcio moderno”. Così per lasciarci la speranza di credere che il pallone abbia ancora un volto umano.
Luca Ferrato
ferratoluca@hotmail.com