Un cuore e una chitarra

17 Gennaio 2010 di Alvaro Delmo

di Alvaro Delmo

L’immagine sbagliata di Michele Zarrillo, descritto con gli stereotipi sui cantanti sanremesi da parte della stampa in teoria specializzata… 

C’è un cantante al quale, potendo, faremmo volentieri una serie di domande: “Perché a Sanremo proponi sempre dei lenti? Perché non dimostri che sai fare anche qualcosa di diverso, come del resto si capisce ascoltando i tuoi album? Perché non porti mai sul palco con te una chitarra?”. Non sapete quanto sia infatti fastidioso sentire commenti su di lui che finiscono sempre in “è bravo ma canta sempre canzoni tristi”. Ecco, questa volta vorremmo cercare di sfatare un luogo comune che lo riguarda, cominciando con il dire che il musicista in questione, oltre ad avere una gran voce, è soprattutto un ottimo chitarrista, acustico così come elettrico.
Negli anni ’70 militò in alcune band ‘seminal’ del rock progressive italiano (Semiramis e per brevissimo tempo Il Rovescio della Medaglia) per poi approdare alla carriera solista. Noi, anche per ragioni anagrafiche, ce lo ricordiamo però dai primissimi anni ’80 quando tentò la carta Sanremo. Per chi non l’avesse capito a questo punto è necessario rivelare che il personaggio in questione è Michele Zarrillo che nel 1981 portò sul palco dell’Ariston un piccolo capolavoro, Su quel pianeta libero “quel mondo così piccolo che c’entra solo un fiore quel mondo in cui ero libero di amare solo te”, al quale replicò degnamente l’anno successivo con Una rosa blu, quella “che non va più via dolce e un po’ perversa come un po’ diversa è la tua fantasia”. Il successo, misteriosamente, allora stentò ad arrivare e anche la vittoria tra le Nuove Proposte del 1987 (La notte dei pensieri, con un look rivoluzionato rispetto al passato passò abbastanza inosservata. Il rischio a questo punto era che un ottimo artista andasse a finire nel dimenticatoio, come tante volte succede nel mondo della musica e non solo.
Fortunatamente a Zarrillo è stata poi data la possibilità di ritornare a farsi sentire sempre ripartendo da Sanremo (1992, Strade di Roma e raggiungendo finalmente il successo nel 1997 con l’album L’amore vuole amore (quasi un milione di copie vendute), nel quale rivestì anche alcuni suoi brani del passato. In scaletta c’era anche quella Cinque giorni (quinto posto a Sanremo 1994) che due anni prima lo aveva fatto definitivamente riscoprire. Come dicevamo a nostro avviso Michele è rimasto poi troppo legato a un certo genere di brano quando si è poi presentato le volte successive (e sono state tante) al Festival.
Non vorremmo essere fraintesi: da L’elefante e la farfalla (1996) a L’ultimo film insieme (2008) Zarrillo ha sempre proposto in gara canzoni di buon livello. Il problema è che secondo noi ha rischiato poco, visto che proprio la già citata L’amore vuole amore così come Non arriveranno i nostri, per fare solo due esempi, avrebbero potuto invece far cambiare idea ai tanti che, fedeli alla regola del luogocomunismo di cui abbiamo già parlato in altre occasioni, basano i propri giudizi esclusivamente su singoli episodi (intesi come canzoni) anziché cercare di conoscere l’opera completa di un artista prima di esprimere un’opinione. A questo proposito, ricordiamo ancora nel 2008 le reazioni stupite di molti allo strepitoso duetto elettrico tra Cesareo (la chitarra di Elio e le Storie Tese) e Zarrillo nel corso del geniale Dopofestival di quell’anno. Era la stessa chitarra che nei suoi concerti la fa ancora oggi spesso da padrona trascinando inesorabilmente il pubblico. La prossima volta la vogliamo anche all’Ariston!
Alvaro Delmo
(in esclusiva per Indiscreto)

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