Pallacanestro quotidiana
Stern al momento giusto
Stefano Olivari 26/10/2012
David Stern ha annunciato il suo ritiro da commissioner della NBA il primo febbraio 2014, a trent’anni dal suo insediamento e a trentasei dall’inizio del suo lavoro (a comandare era Larry O’Brien) per la lega professionistica di maggior impatto nel mondo: con tutto il rispetto per NFL e MLB, football e baseball come diffusione ‘culturale’ nel pianeta non possono nemmeno entrare in competizione con il basket. Stern è il commissioner di più lunga durata di tutti gli sport professionistici, in generale lo possono battere solo certi presidenti di federazione ma qui si sta parlando di professionismo e di conti che devono tornare, non di qualche soldo da mendicare a Pantalone. Fra due anni sarà il turno di Adam Silver, attuale vice di Stern. E’ quindi già il momento per dare un giudizio storico sull’operato di un dirigente che ha preso in mano una NBA già rilanciata dal dualismo Magic-Bird portandola a vette di marketing e di diffusione internazionale che non sono state solo il frutto dei suoi campioni ma di un lavoro capillare e dirigistico. Fuori dalle mitizzazioni, che da lontano vengono ovviamente meglio (Stern è stracitato da presidenti di società di calcio che non hanno chiuso un solo bilancio in attivo in vita loro), la domanda è la solita: fu vera gloria? Banalmente si può dire che Stern è diventato Stern al momento giusto: nel 1984 la rivalità fra Magic e Bird e un draft leggendario (Olajuwon, Jordan, Barkley, Stockton), uniti all’esplosione commerciale dell’abbigliamento sportivo (non solo Nike), gli diedero una grande spinta. Al punto tale da gestire l’allargamento dalle 23 franchigie del 1984 alle 30 attuali senza grandi scossoni, se non due semi-lockout (nel 1998-99 e la scorsa stagione). La bravura di Stern è stata quella di aprire la NBA al mondo, ben al di là del fatto tecnico dei cosiddetti ‘international players’ che in molti casi sono stati puro marketing. Stern è stato accusato di essere una specie di piazzista, ma i proprietari e i giocatori lo devono solo ringraziare. Non tutti i draft sono stati come quello del 1984 o del 2003, certa classe media gli dovrebbe erigere un monumento. Più fondata secondo noi l’accusa di dirigismo, dalle supermulte per ‘reati di opinione’ agli interventi tecnici (lo stop a Chris Paul ai Lakers il più clamoroso) passando per molti ostacoli al mitico libero mercato, tipo il divieto di sbarco a Las Vegas a più di un proprietario o l’ambizione moravianamente sbagliata dell’espansione in Canada finita con il flop di Vancouver e il mezzo flop di Toronto. Dirigismo che raramente si è spinto nei territori del taroccamento, non fosse altro che perchè i Raptors gli pagano lo stipendio esattamente come gli Heat. Con qualche fischio chirurgico sarebbe stato facile apparecchiare per almeno due volte la finale intergenerazionale Kobe-Lebron, bloccare un relativamente piccolo mercato come San Antonio, fare regali da draft a New York (si iniziò bene, con Ewing nel 1985, ma poi…), eccetera. Il nostro argomento preferito è però la pallacanestro e stando a quanto si vede in campo il livello del gioco è nettamente peggiorato rispetto a quello della NBA presa in mano da Stern. Non al livello europeo, sagra del pick and roll e del tiro dagli spogliatoi, ma di sicuro a un livello preoccupante. Sono migliorati gli allenatori, molto più preparati e meno mestieranti di quelli degli anni Ottanta, mentre campioni con poco college (o college con stile di gioco NBDL, tipo Kentucky) e con la palla sempre in mano hanno di fatto reso il gioco un’esibizione di bravura più che uno sport di squadra. Tutto è stato in qualche modo favorito da cambiamenti regolamentari, come il divieto di hand check (in sostanza le mani addosso del difensore), che hanno reso le stelle molto più stelle di quanto non sarebbero state negli anni Ottanta. Il successo commerciale della NBA non deve far dimenticare che nella percezione degli americani, come ci dice il 100% dei residenti che conosciamo (noi siamo turisti e mitizziamo), il basket rimane il terzo sport del paese dopo football e baseball. E rimanendo nel basket anche la migliore NBA scalda meno del college di riferimento. Esattamente come trenta anni fa. Concludendo? Stern è stato Stern al momento giusto. E lascia al momento giusto.