Piramidi all’italiana

3 Gennaio 2011 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari
La prima semifinale-scudetto si disputa in mattinata, esattamente alle 9, fra Internazionale Torino e Torinese. Circa 200 gli spettatori al Velodromo Umberto I di Torino, di cui metà paganti… 

E rieccoci a quell’8 maggio 1898, ci richiamiamo all’ordine dopo le divagazioni. La prima semifinale-scudetto si disputa in mattinata, esattamente alle 9, fra Internazionale Torino e Torinese. Circa 200 gli spettatori al Velodromo Umberto I di Torino, di cui metà paganti (incasso totale circa 150 lire, fra biglietto di ingresso e affitto delle sedie). Da ricordare le regole: nessuna sostituzione permessa, in caso di parità si gioca un tempo supplementare unico senza limite di tempo: chi segna per primo vince. Insomma, una specie di super golden goal. I 44 giocatori delle 4 squadre coinvolte sono invitati ad indossare guanti bianchi, con la motivazione che anche in Inghilterra si fa così. Non è totalmente vero, anche se è consuetudine: il motivo di tutto questo è che così sarebbe più facile per l’arbitro accertarsi di eventuali falli di mano. Essendo quasi sempre i campi fangosi, un controllo in casi di incertezza permetterebbe una sorta di moviola in campo alla Elizondo.

Finalmente si comincia. Tutte le squadre sono schierate con il modulo tattico allora in voga, la famosa piramide di Cambridge. In termini moderni un 2-3-5, termini antichi uno schema che può essere legittimamente considerato antenato del Metodo e del Sistema. Della Piramide sono arrivati fino ai giorni nostri alcuni concetti e di sicuro le definizioni: fullback, halfback, winger, centre forward. Suoni familiari applicati però a posizioni nella sostanza diverse (tranne che nel caso delle ali, forse). Tutto è nato qualche anno prima di quelle semifinali torinesi, nella squadra del college di Cambridge. Il perché della definizione di piramide è chiaro guardando la disposizione in campo, mentre è interessante la traduzione in italiano d’epoca dei ruoli. I fullback da noi diventano ‘terzini’, secondo qualcuno (modestamente anche noi fra questi) perché rappresentano la terza linea della squadra dopo l’attacco e la linea dei mediani e secondo altri perché facenti parte del terzetto difensivo insieme al portiere.

Il Genoa, ispirato da Spensley, è l’unica delle quattro squadre in campo ad applicare una versione ortodossa di quello schema: il modello, mitizzato come tutti i modelli dell’epoca pre-televisiva, sono i Blackburn Rovers. Di sicuro un modello vincente, viste le cinque Coppe d’Inghilterra conquistate fra il 1894 e il 1891 (curiosità: è dal 1890 che giocano a Ewood Park). Questa sorta di WW è lo schema anche delle torinesi, ma l’assenza di numerazione sulle maglie e le cronache dell’epoca in cui i nomi sono riportati in 100 modi diversi ci consentono soltanto congetture. Di sicuro il primo campionato italiano di serie A (ufficialmente ‘Campionato Federale’) viene giocato da squadre semidilettantistiche ma di certo non messe in campo a caso.

Dicevamo della prima semifinale. La vince l’Internazionale Torino dopo una partita tiratissima, con gol decisivo proprio di Edoardo Bosio: l’animatore del calcio torinese a 34 anni entra così nei libri di storia. Nella seconda semifinale, con inizio alle 11, il Genoa di Spensley piega 2 a 1 la Ginnastica Torino. Non si può dire che i rossoblu si qualifichino per la finale scudetto (quel giorno la squadra genovese gioca in maglia bianca e il termine scudetto diventerà di uso comune solo negli anni Venti), ma rende l’idea. Durante la finale con l’Internazionale il portiere del Genoa, l’inglese William Baird, si infortuna nei primi minuti e a difendere i pali della squadra rimasta in dieci va così il tuttofare Spensley che nella disposizione tattica si è ritagliato un posto fra i tre mediani. Uno a uno dopo 90 minuti e supplementari senza limiti di tempo: il golden goal è del giovane inglese Norman Leaver, che un anno dopo sarà fra i convocati di una specie di selezione italiana antenata della Nazionale vera e propria. L’Internazionale, più fresca grazie alle due ore in più di riposo, ha dominato fisicamente ed è andata più volte vicino al gol con Herbert Kilpin, l’anno dopo fondatore e primo allenatore del Milan, ma il Genoa grazie alla sua forza d’animo (dalle poche righe dei giornali si evince questo, non possiamo inventarci azioni che non abbiamo visto) riesce a sollevare la coppa offerta dal Duca degli Abruzzi. Un trofeo da assegnare definitivamente alla prima squadra capace di vincere tre campionati. Sarà lo stesso Genoa. (fine terza parte – continua)


stefano@indiscreto.it
(pubblicato sul Guerin Sportivo)

La seconda parte di LA NOSTRA STORIA

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