Oranje Bellissimo

11 Giugno 2008 di Alec Cordolcini

1. Le donne lo sanno, verrebbe da dire parafrasando Ligabue, le donne l’han sempre saputo. E si potrebbe aggiungere che se le signore Femke Halsema e Rita Verdonk sapessero esercitare la propria funzione politica con la stessa abilità mostrata in sede di pronostico per Olanda-Italia, allora il posto di primo ministro dei Paesi Bassi sarebbe solo questione di tempo. Il settimanale Voetbal International aveva chiesto una previsione a nove capi politici dei principali partiti del paese sulla sfida contro gli Azzurri; gli unici, o meglio, le uniche a dare fiducia all’Olanda sono state proprio le due mevrouwen, leader rispettivamente dei GL (Groen Links, verdi di sinistra) e dei nazionalisti (Trots op Nederland). Perché c’era rispetto misto a timore tra l’opinione pubblica olandese alla vigilia della partita d’esordio. Si temeva, ovviamente, la caratura e la concretezza dell’avversario ma anche i propri limiti: difesa fragile, centrocampisti di contenimento con scarsa esperienza internazionale, manovra offensiva a forte rischio di imbuto al centro. Van Basten ha rischiato (Boulharouz e De Jong titolari, Heitinga in panchina a favore di Ooijer), azzeccando però tutto. A volte il confine tra genialità e incapacità è davvero una linea sottile sottile.
2. Lasciamo ora la parola a Marcello Ierace, giornalista del Giornale del Popolo che non conosciamo personalmente, autore sull’edizione odierna del quotidiano ticinese di un commento che sottoscriviamo in toto, dalla prima all’ultima riga. “Miopia, gravissimo peccato. Forse, in un sol colpo, l’Euro ci ha proposto su un piatto d’argento la grande protagonista e la grande delusione del torneo. Forse, però. Perché non bisogna farsi traviare da un solo risultato. Che sarà sì uno solo, ma che pesa come un macigno. La spaventosa prestazione dell’Olanda lascia solo un dubbio di fondo: sapranno gli oranje mantenere questo livello di gioco o manderanno tutto all’aria? Non sarebbe affatto una novità per la bella ma troppo incompiuta Olanda. A sostenere le potenzialità di un successo finale, per la squadra di Marco van Basten, ci sono però alcuni fattori non irrilevanti. Il fatto che siano stati dei (presunti) comprimari a trascinare la valanga arancione è abbastanza significativo. Giocatori come Giovanni van Bronckhorst, che solo la solita italica miopia ha saputo sottovalutare. “La più abbordabile delle avversarie” così l’aveva etichettata, l’Olanda, la stampa italiana. Forse solo perché nella selezione di Van Basten non ci sono giocatori che militano nella Serie A, cosa che ne fa, di conseguenza, personaggi di seconda fascia. O addirittura “brocchi”. Gente come Van der Sar, che, nonostante abbia una bacheca traboccante di trofei, viene ancora ricordato nella penisola per una stagione (una sola) sotto tono alla Juventus. Peccati per nulla veniali e che toccano non solo Roberto Donadoni, ora primo (e unico) indiziato di tutti i mali di questa squadra. Forse è mancato sì un po’ di coraggio al tecnico bergamasco , ma non gli si può certo imputare di non aver messo in campo la migliore delle formazione. Anche perché 8 di quegli 11 scesi in campo lunedì sera, giusto un paio di anni fa, erano stati incoronati come eterni eroi di una Patria intera. ”.
3. La grande paura adesso è rappresentata dalla troppa euforia. La stampa olandese è stata ovviamente un tripudio di gioia e colori (palma del miglior titolo al quotidiano De Telegraaf con “Oranje Bellissimo”), e chi predica di tenere i piedi ben piantati per terra rischia di parlare a vuoto. Perché se c’è una cosa che accomuna olandesi e italiani a livello calcistico-sportivo è proprio la mancanza di mezze misure. Eroi o nullità, non esistono vie di mezzo.
4. Sei anni fa, in viaggio con la nazionale del Suriname verso Paramaribo, il giornalista Simon Zwartkruis osservava attentamente un dinoccolato ragazzone cui le parole di bocca uscivano copiose come le palle gol create da Francia e Romania nel loro incontro d’esordio a Euro 2008. Lo conosceva, sapeva che era uscito dalle giovanili del Feyenoord e che aveva trovato un contratto al Nac Breda, ma faceva fatica a decifrarlo. Talento vero o solo buon giocatore da Eredivisie? Clarence Seedorf, anch’egli aggregato al gruppo dei surinamensi, invece non aveva mai visto quel giocatore. “Chi è quello?”, chiese al giornalista. “Si chiama Orlando Engelaar, giocava da attaccante nel Feyenoord”. “Farà una bella carriera”. “Come fai a dirlo?”. “Guardalo neglio occhi. E’ un vincente”. Cinque stagioni dopo Orlando Engelaar è titolare della nazionale olandese ai campionati europei. Dal Nac era passato al Genk, campionato belga, giocando quasi svogliato come trequartista d’appoggio in un modulo che prevedeva un’unica punta (lo vedemmo dal vivo una fredda sera di marzo contro il La Louviere e lo etichettammo come legnoso faticatore a cavallo tra centrocampo e attacco), per poi tornare in patria nel Twente, dove è stato riconvertito in interno destro in un centrocampo a tre diventando il pilastro di una squadra arrivata che in due anni ha centrato due quarti posti (quando negli ultimi dieci si navigava tra il sesto e il dodicesimo) centrando nell’ultima stagione una storica qualificazione ai preliminari di Champions League. Oggi Engelaar è uno degli elementi più in forma dei tulipani di Van Basten, il quale ne ha ulteriormente evidenziato la grande duttilità schierandolo centrocampista di contenimento davanti alla difesa, con ottimi esiti. Così qualcuno ha scritto che questo giocatore, corteggiato con insistenza dallo Schalke 04 (perché a Gelsenkirchen adesso c’è Fred Rutten, l’artefice del miracolo-Twente), è una sorta di piccolo Vieira. Probabilmente sono le stesse persone che quando vennero diramate le convocazioni si chiesero chi diavolo fosse quell’Engelaar. Perché giocava nel Twente, campionato olandese.

Alec Cordolcini
wovenhand@libero.it

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