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Cinema

L’ora più buia, Churchill fra guerra e pace

Indiscreto 26/02/2018

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È molto raro che un film storico possa piacere ai cultori del dubbio, sia nella sua versione a tesi sia in quella cosiddetta condivisa, che porta diritti alla fiction con Beppe Fiorello. L’ora più buia (Darkest hour) è una lodevolissima eccezione, perché mette in scena uno Winston Churchill sospeso fra patriottismo vero e retorica patriottarda (la scena della metropolitana è di un populismo che imbarazzerebbe Salvini e Di Battista), fra intelligenza e fortuna, fra senso di responsabilità e cinismo assoluto, fra orgoglio e pregiudizio.

Siamo nel maggio 1940, sono i giorni che precedono Dunkerque e tutto ciò che Dunkerque ha significato per l’Inghilterra e la storia del mondo: il primo ministro Neville Chamberlain, l’uomo che con la sua ingenuità a Monaco aveva dato a Hitler la certezza di poter conquistare l’Europa in scioltezza, è costretto a dimettersi e i conservatori devono giocarsi la carta Churchill. Poco amato dai vertici del partito e meno ancora dal re Giorgio VI (il padre della regina Elisabetta), ma con buone sponde fra liberali (di cui per vent’anni aveva fatto parte) e laburisti: insomma, l’uomo giusto per quello che oggi chiameremmo governo di unità nazionale o governissimo. Joe Wright mette in scena un Churchill (Gary Oldman) pieno di sfaccettature e la sua segretaria, la Lily James già da noi piccolo borghesi che sognavamo l’Inghilterra (semicit. Cremonini) ammirata in Downton Abbey, come rappresentante del popolo: affascinata dalle intuizioni di Churchill ma in parte sconvolta dal suo cinismo, ha nel film il compito di non far perdere al primo ministro il polso del paese. La capacità di sintonizzarsi sul sentimento popolare, cosa tutt’altro che scontata considerando la struttura della società inglese del 1940 (Churchill non aveva mai preso un mezzo pubblico, ma almeno se ne rendeva conto), fu alla base della straordinaria resistenza inglese al nazismo nonostante in alcuni settori politici e nobiliari Hitler fosse abbastanza amato ed il vero nemico in definitiva fosse ritenuto il bolscevismo.

La chiave del film, quella che secondo noi lo eleva dal rango di opera media e ben fatta, è la contrapposizione ideologica fra Churchill e il Lord Halifax, ministro degli esteri nel governo di Chamberlain e suo (di Chamberlain) aspirante successore. Churchill rifiuta qualsiasi ipotesi di tregua con la Germania, mentre Halifax lavora per una pseudo-pace che consenta di salvare almeno i soldati intrappolati a Dunkerque. Tanti particolari storici sono piegati alle esigenze cinematografiche (Churchill metteva Mussolini su un piano diverso rispetto a Hitler e in realtà provò fino all’ultimo ad evitare l’entrata in guerra dell’Italia, per non parlare del dopo: sui loro carteggi sono stati scritti libri), ma la forza della domanda rimane: la Germania nazista si poteva combattere meglio di come fece Churchill? Cioè, in estrema sintesi, mandando giù il boccone amaro di una pace obbligata per poi aspettare, organizzarsi meglio e combattere dopo avere coinvolto gli americani? Materia pregiata per gli appassionati di storia controfattuale, ma purtroppo quesito valido se la validità di una scelta si misura in vite umane sacrificate. Una guerra, pur atroce, della durata di due anni sarebbe stata diversa da una guerra di cinque: adesso è bar della storia, all’epoca un’opzione sul tavolo che non dispiaceva al re, poi folgorato da Churchill e desideroso di far dimenticare le simpatie naziste del fratello. Amaro in ogni caso è constatare che la mitica gente, quella che di fatto aveva permesso a Churchill di scavalcare il suo stesso partito, alle elezioni del 1945 voltò le spalle ad uno dei più grandi leader della storia del mondo libero.

Film inglese e orgoglioso di esserlo, c’è anche Kristin Scott Thomas nella parte della moglie di Churchill. Film anche sull’oggi, con riferimenti chiari: sull’attualità del concetto di nazione, sulla capacità delle democrazie di reagire agli assalti, non solo militari, degli stati totalitari, sulla pace che a volte si può scegliere ma a volte no e che, punto fondamentale, a volte è un qualcosa di apparentabile alla vigliaccheria. Senza alcuna certezza che il nemico poi non ti faccia la guerra in un secondo tempo, oltretutto. Un equilibrio fra un’Europa centrale tedesca o tedeschizzata, con Italia e Spagna alleate, più il Regno Unito e l’URSS, quanto sarebbe potuto durare? Forse anche molto, per non dire moltissimo, con tanti saluti ad ebrei e zingari. La tentazione di farsi gli affari propri è trasversale a ogni orientamento politico, per questo la sanguinosa scelta di Churchill, poi rinforzata dalla strepitosa e commovente operazione Dynamo, fu in ogni caso una scelta coraggiosa.

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