L’isola del tesoro

17 Dicembre 2008 di Stefano Olivari

Tra le società rientranti nel perimetro di consolidamento del Gruppo con a capo Arsenal Holdings PLC (controllante tra l’altro di Arsenal Football Club PLC), ne risultano tre che hanno sede nell’Isola di Jersey e precisamente: Arsenal Overseas Limited, Gillespie (Jersey) Limited; Gillespie Holding Company (Jersey) Limited. La società Arsenal Overseas Limited è controllata al 100% e svolge come attività principale operazioni di vendita al dettaglio (Retail Operations). Gillespie (Jersey) Limited e Gillespie Holding Company (Jersey) Limited, entrambe controllate al 100%, sono due “Property Holding” , ossia holding immobiliari utilizzate, in genere, per investire in beni immobili o in titoli azionari o partecipazioni in altre imprese che investono nel settore immobiliare. Ma che cos’è l’Isola di Jersey? L’isola di Jersey, il cui nome ufficiale è Bailiwick of Jersey, è un’isola posta nel Canale della Manica, che pur essendo inglese non fa parte del Regno Unito ed è retta da un governo autonomo che dipende dalla Corona d’Inghilterra. Sfruttando questa autonomia dal Regno Unito, l’isola di Jersey è diventata piazza off-shore a tassazione agevolata. Per usare una parafrasi, è “un’isola che c’è”, un’isola della realtà, non certamente un’isola della lealtà e della trasparenza. Possiamo definirla anche “Isola del Tesoro” come ha fatto Fisco Oggi, Notiziario Fiscale dell’Agenzia delle Entrate, nell’articolo: “Paradisi fiscali a confronto, Jersey più seducente di Guernsey” del 21 ottobre 2004, in cui tra l’altro è spiegato che le isole del Canale della Manica custodiscono 330 miliardi di euro. Per quanto riguarda l’Italia, l’articolo 1 del decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, del 23 gennaio 2002 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 4 febbraio 2002), elenca i paesi della cosiddetta “black list”, ossia gli Stati e i territori aventi un regime fiscale privilegiato, e tra essi figura Jersey. Ma a cosa può servire possedere una società in un paradiso fiscale? In genere le società con sede nei paradisi fiscali costituiscono lo strumento utilizzato per lo spostamento di capitali. Esse vengono interposte nelle normali transazioni commerciali, rendendo indiretto il rapporto col fornitore, creando un passaggio in più, con un ricarico a titolo di provvigione. Ad esempio una azienda siderurgica che compra acciaio dall’estero, anziché comprarlo direttamente dal fornitore estero abituale, crea la società “X” in un paradiso fiscale e compra l’acciaio attraverso la società “X”. A sua volta la società “X” rivende l’acciaio all’azienda siderurgica ad un prezzo maggiorato. La maggiorazione del prezzo rimane alla società “X” nel paradiso fiscale, senza pagare tasse e rimpinguando ivi i relativi conti bancari. La finalità per cui vengono usate queste società è duplice: abbattere l’imponibile nazionale, trasferendolo in uno stato a più bassa tassazione, creare “provvista” all’estero, al fine di alimentare i pagamenti estero su estero, non esclusi i pagamenti in nero. L’applicazione di tale schema nel mondo del calcio non troverebbe difficoltà alcuna. Si pensi ai cartellini dei calciatori, in specie quelli sudamericani, posseduti dai procuratori e altri soggetti (anche in percentuale); o alla gestione dei diritti di immagine, che potrebbero essere ceduti a tali società.
Luca Marotta
jstargio@gmail.com
(per gentile concessione dell’editore, fonte: Il Pallone in confusione)
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