L’impossibile Manic Miner

8 Marzo 2021 di Paolo Morati

Chi ha vissuto l’epoca d’oro dei videogiochi non può non aver tentato di confrontarsi almeno una volta con Manic Miner. Diciamo “tentato” perché la difficoltà del platform pubblicato da Bug Byte nel 1983 era elevatissima richiedendo una precisione nell’ordine del pixel per poter completare ciascun livello. E questo fin dal primo in cui il protagonista, il minatore Willy, si trovava intrappolato.

Con una grafica buona per l’epoca – la prima versione uscì per ZX Spectrum con tanto di famigerato colour clash, ma tutte le altre conversioni mantennero la stessa impostazione – e una complessità da far impallidire i rompicapo più recenti, Manic Miner (ma anche il suo seguito Jet Set Willy) rappresentavano un incubo per chi si avvicinava a joystick e tastiere nelle speranza di passare qualche momento di svago,

Al contrario, lo svago in Manic Miner si trasformava in un’esperienza frustrante visto che quando pensavamo di aver ormai completato un livello sbagliavamo proprio l’ultimo salto per quindi dover ricominciare tutto da capo. Ed era del resto anche quello il fascino di un gioco che dopo le note di apertura di Sul bel Danubio Blu di Strauss II creava una vera e propria dipendenza. Più sbagliavamo e più ci riprovavamo, per portare Willy fuori dalle 20 caverne, studiandole in modo approfondito per capire come e dove muoverci per raccogliere assurdi oggetti. E contenderli a nemici altrettanto assurdi e riferimenti per intenditori sparsi qua e là.

Insomma, un gioco epico quello programmato da Matthew Smith che calibrava sì bene strategia e azione, ma mantenendo un’asticella piuttosto alta in un’epoca in cui non era così facile trovare suggerimenti di sorta. Con tanto, infine, di iconica musica di sottofondo, basata su Nell’antro del re della montagna di Edvard Grieg, la quale non faceva altro che aumentare il coinvolgimento e la tensione. Chi è riuscito a completarlo ce lo faccia sapere.

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