La tessera sbagliata

9 Ottobre 2007 di Alec Cordolcini

La rivoluzione industriale aveva trasformato la regione della Ruhr da dimessa area rurale in importante centro economico, grazie alla grande capacità produttiva di carbone e acciaio. In pochi decenni l’intero territorio era stato soggetto ad una vasta ondata di immigrazione; i lavoratori arrivavano dalla Francia, dal Belgio e da svariate parti della Germania (Prussia Orientale, Polonia e Slesia le zone con il più alto tasso di emigranti), formando vere e proprie comunità spesso divise da forte antagonismo, basta pensare alla rivalità che ancora oggi divide la città di Dortmund da quella di Gelsenkirchen. Nel 1904 nasce, per mano di un gruppo di ragazzi figli di minatori, il Westfalia Schalke, club calcistico che però aderisce al campionato ufficiale tedesco solamente otto anni più tardi. La DFB (Deutscher Fußball Bund, Federazione Calcio Tedesca), capitanata da borghesi e membri dell’alta società, non vedeva infatti di buon occhio l’ammissione ai propri tornei, all’epoca organizzati su base regionale, di una squadra fondata e gestita da “bande di lavoratori”, contribuendo così a creare il mito dello Schalke 04 (così la stessa venne ribattezzata in seguito) quale squadra di ribelli poco consona a rientrare negli schemi dell’ordine costituito. I bianco-blu divennero così non solo l’espressione calcistica di una città, Gelsenkirchen, bensì di una classe sociale di questa. Una famiglia allargata, nel vero senso della parola; negli anni Trenta la squadra era un coacervo di fratelli, cognati e cugini di vario grado.

A cavallo tra il 1934 e il 1942 lo Schalke 04 conquista sette titoli nazionali e una Coppa di Germania. Lo fa mostrando un gioco lontano anni-luce dai canoni teutonici dell’epoca, improntati sulla fisicità e sul principio del “palla lunga e pedalare” nel malriuscito tentativo di scopiazzare le squadre inglesi. A Gelsenkirchen si gioca con il “Kreisel” (trottola, in tedesco), appellativo dato dai giornali dell’epoca ad uno stile di gioco dinamico e imprevedibile che prevede una prolungata fase di possesso palla, una fitta ragnatela di passaggi corti e rasoterra, e tanto movimento alla ricerca continua di nuovi spazi. Il fulcro del gioco ha un nome e un cognome: Fritz Szepan, che crea, ricama, inventa e finalizza. Lo chiamano ‘Il mago di Gelsenkirchen’ per le magie che dispensa in campo, frutto di una classe innata che gli permetterà di trovare una via di fuga dalla durissima vita di miniera fino a trasformarlo, proprio lui, minatore e figlio di minatori, nell’uomo-simbolo del riscatto sociale di un’intera classe. Accanto a Szepan gioca il fedele scudiero, nonché cognato acquisito dal matrimonio con la di lui sorella, Ernst Kuzorra, anch’egli minatore, anch’egli ragazzo semplice che vuol trasformare la propria abilità in una fonte di reddito. Missione non propriamente tra le più agevoli nella Germania degli anni Trenta fiera paladina del dilettantismo; le federazioni tendevano a chiudere un occhio sui “compensi extra” ricevuti dai giocatori in cambio delle proprie prestazioni, purché questi non fossero troppo elevati, ma quando il vento gelido della Grande Depressione comincia a soffiare forte sull’Europa intera per gente come Szepan e Kuzorra, rimasti disoccupati assieme al 67% dei lavoratori della Ruhr, il calcio rimane l’unica ancora di salvezza per evitare lo spettro della miseria più nera. Il 25 agosto 1930 la Federazione Calcio della Germania Occidentale squalifica 14 giocatori dello Schalke 04, tra cui Szepan e Kuzorra, per aver percepito compensi ritenuti “esagerati”. Il tesoriere della squadra, Wilhelm Nier, responsabile dei pagamenti sotto banco, si suicida travolto dalla vergogna. Scoppia la rivolta; la stampa locale spara a zero sull’istituto, l’opinione pubblica è in subbuglio, persino i club rivali dello Schalke si uniscono alla crociata anti-Federazione minacciando di creare un campionato autonomo. I burocrati sono costretti a cedere; la squalifica viene ritirata, e la stagione successiva i quattordici possono tornare in campo, trovando in breve tempo nuovi motivi per far parlare di sé, questa volta però grazie alle vittorie.

Il 20 ottobre del 1929 un 22enne Fritz Szepan fa il suo esordio in nazionale, segnando una delle quattro reti con le quali la Germania liquida la Finlandia. E’ il primo giocatore dello Schalke 04 a vestire la casacca della Nationalmannschaft, e per il popolo di Gelsenkirchen quello è il segnale della svolta. La definitiva conferma arriva poco meno di quattro anni dopo, quando il club raggiunge per la prima volta la finale del campionato nazionale, perdendo 3-0 contro il Fortuna Düsseldorf. I tempi però sono ormai maturi; la stagione successiva lo Schalke è di nuovo in finale, ma questa volta l’avversario è il Norimberga, la squadra all’epoca più blasonata di Germania dall’alto dei suoi cinque titoli nazionali. Sotto di una rete fino a una manciata di minuti dalla fine, tocca a Szepan ribaltare il corso degli eventi, prima insaccando da pochi passi la rete del pareggio, quindi dando il via all’azione che porterà Kuzorra, in campo nonostante un’ernia che gli impedisce di correre, a insaccare il definitivo 2-1 prima di cadere a terra svenuto. Ma è solo l’inizio; nel ’35 arriva il secondo successo dopo un 6-4 allo Stoccarda, nel ’37 lo Schalke 04 è la prima squadra a centrare la doppietta campionato (2-0 al Norimberga) e Coppa di Germania (2-1 al Fortuna Düsseldorf), poi arrivano altri tre titoli, nel ’39 (9-0 all’Admira Vienna), nel ’40 (1-0 all’Sc Dresda) e nel ’42 (2-0 al First Vienna). Nel mezzo, undici vittorie consecutive nella Gauliga Westfalen, la divisione regionale così com’era stata ribattezzata (e riorganizzata) dai nazisti. Gau era infatti un termine in tedesco arcaico che significava “regione”, e aveva una spiccata connotazione tribale che tanto piaceva ai membri del NSDAP (Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei, ovvero Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori).

Inarrivabile giocoliere con la maglia dello Schalke 04, Szepan sembra perdere parte del suo potenziale quando scende in campo per la Germania. Questione di feeling, a detta di molti: né con il commissario tecnico Otto Nerz né con alcuni compagni di squadra ce n’è molto. Pur non essendo uno sprovveduto Nerz è un allenatore privo di inventiva innamorato dell’Inghilterra pallonara, che non concepisce altro calcio se non quello basato sulla forza fisica, sulla disciplina e sulla velocità. Detesta il modo di giocare dello Schalke 04, ritenendolo anarchico e inconcludente, e non perde occasione di dirlo a Szepan, la cui fantasia viene costantemente ingabbiata dai rigidi schemi dell’allenatore. A questo si aggiunge l’ostilità di alcuni giocatori, il bomber dell’epoca Richard Hoffmann in primis, che non gradiscono la presenza di quel “proletario ribelle” accanto a loro in squadra. Al termine di un 4-2 rifilato alla Danimarca, con tripletta del nostro, Szepan diserta il banchetto post-partita e imbocca la direzione di Gelsenkirchen. “Torno a casa”, dice sulla soglia degli spogliatoi ad uno sconcertato Nerz, “dai miei veri compagni di squadra”. Potrebbe essere la fine della sua carriera in nazionale, lo salva il talento. Nerz, per quanto non apprezzi lo stile del minatore, possiede sufficiente intelligenza per capire che rinunciare agli incantesimi del mago, specialmente alla guida di una squadra che ancora stenta a trovare una propria dimensione in campo internazionale, costituirebbe un imperdonabile atto di autolesionismo.

Ai Mondiali italiani del 1934 il tecnico decide di applicare il WM creato da Herbert Chapman, e lo comunica al suo giocatore più talentuoso, nonché capitano della squadra. “Se questo significa che la squadra giocherà tutta all’indietro con solo tre attaccanti”, risponde Szepan, “non è la mia idea di calcio”. Nerz gli assicura che il suo sarà un sistema “moderno, flessibile e con uno stopper come novità”, omettendo però che il nuovo ruolo è destinato proprio a lui. Szepan, pur perplesso, acce
tta, venendo riportato nella sua posizione originaria, attaccante interno sinistro, solamente nella finale per il terzo posto, che la Germania fa sua battendo 3-2 un’Austria priva di Sindelar. Polemiche in vista? Neppure l’ombra, perché il risultato è prestigioso e accontenta tutti, dalla DFB alla stampa fino ai giocatori.

“Se fosse un calciatore inglese, sarebbero in molti a mettere sul piatto una discreta somma pur di assicurarsi le sue prestazioni”. Fritz Szepan, a dispetto del 3-0 appena incassato dalla sua Germania al White Hart Lane di Londra contro l’Inghilterra, non aveva mancato di colpire gli osservatori più attenti, tra cui il Daily Telegraph, giornale sul quale era apparsa la sopraccitata frase e che lo aveva soprannominato “palla di neve” a causa dei capelli biondo chiaro. Era uno dei sedici incontri, il più importante dal punto di vista politico perché era la prima visita della Germania hitleriana sul suolo d’Albione, disputati dai tedeschi per prepararsi alle Olimpiadi casalinghe del ’36, che Szepan salterà a causa della già menzionata squalifica per professionismo inflittagli anni prima. Si risparmierà la solenne figuraccia, sotto gli occhi di un imbufalito Führer, di uscire dalla competizione per mano della Norvegia al secondo turno della competizione. Sarà invece in campo, di nuovo con i gradi di capitano, sia nell’8-0 inflitto alla Danimarca il 16 maggio 1937 in una compagine che passerà alla storia come il Breslau Elf (considerata da molti storici del calcio tedesco come la miglior Germania di sempre dopo quella mondiale del ’54 e quella campione d’Europa del ’72), sia nel deludente Mondiale ’38, quando i tedeschi uscirono al primo turno per mano della Svizzera.

Ma quella era una squadra scossa da pesanti frizioni interne a causa dell’Anschluss, l’annessione dell’Austria alla Germania proclamata da Hitler il 12 marzo 1938. Unire austriaci e tedeschi in un’unica nazionale (con tanto di diktat che obbligava a schierare in campo le due fazioni con un rapporto di forza non inferiore a 6:5) non si rivelò un’idea brillante, nonostante molti pensassero che la fusione tra ciò che rimaneva del mitico Wunderteam di Hugo Meisl e il già citato Breslau Elf avrebbe creato la squadra perfetta. Non avevano calcolato la profonda avversione che esisteva tra i due gruppi, o forse l’avevano sottovalutata, comunque fu proprio quello il principale fattore disgregante. Un episodio su tutti: al termine di uno dei primi allenamenti in comune Josef Stroh, ennesimo formidabile artista della scuola di Vienna, giunto negli spogliatoi si fece passare un pallone dai compagni ed iniziò a palleggiare con varie parti del corpo, tra il tripudio degli austriaci. Terminato il numero i tedeschi chiamarono il loro mago, Szepan, che ripeté per filo e per segno tutti i palleggi del collega, ponendo fine alla performance con un tiro che si andò a stampare sul muro pochi centimetri sopra la testa di un ammutolito Stroh. “Stronzi”, fu l’unica parola rivolta da Szepan agli “avversari” mentre riceveva gli applausi e i complimenti dei suoi “compagni”.

La carriera di Fritz Szepan si conclude del 1947, anno della ripresa dei campionati regionali in Germania. Durante la guerra aveva prestato servizio militare in una base aerea di Gelsenkirchen, nel ’47 si ripresenta in campo all’età di 40 anni con la maglia dello Schalke 04, anche se gli acciacchi lo costringono a frequenti assenze. Il 18 maggio 1947 il Borussia Dortmund batte 3-2 i Köningsblauen nella finale del campionato di Westfalia ponendo fine a un dominio regionale che durava da ben 21 anni. Szepan appende le scarpe al chiodo a fine stagione; ricoprirà vari incarichi dirigenziali all’interno del club di Gelsenkirchen, diventandone anche presidente dal ‘64 al ‘65 e dal ’66 al ‘67. L’ultima magia la regala però da allenatore, portando nel 1955 il Rot-Weiss Essen alla conquista del suo primo e unico titolo nazionale. Tuttavia resta un dubbio; perché in nessuna strada nei dintorni della Veltins-Arena (l’ex Arena AufSchalke) di Gelsenkirchen, molte delle quali intitolate agli idoli dello Schalke 04, compare il suo nome? La triste ragione è legata alla tessera numero 6.416.068 del NSDAP assegnata a Szepan il primo maggio 1937, che gli aveva permesso di diventare proprietario del negozio Julius Rode & Co., espropriato nel 1938 ad una coppia di ebrei nell’ambito del famigerato processo di “Arianizzazione” (Arisierung) della Germania. Dopo la guerra la Jewish Trust Corporation gli fece causa. Una brutta fine per una bella storia.

Alec Cordolcini
wovenhand@libero.it

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