Basket
La notte di Klopp e Taurisano
Oscar Eleni 08/05/2019
Oscar Eleni fra le cave di marmo che davano tormento ed estasi a Michelangelo. Negli occhi una notte di calcio come non la vivevamo da tempo, una serata di sport che finiva con il canto della curva del Liverpool ad Anfield dove nessuno osava schernire i battuti del Barcellona di super Messi.
Nel cuore la tristezza per aver perduto Arnaldo Taurisano che era un vero maestro di sport, di basket, di vita. Non siamo mai andati a funghi con lui, quando era in gara si sentiva il migliore in tutto, quindi tutti i porcini erano suoi, ma siamo cresciuti seguendo i suoi allenamenti al Pavoniano rubando le caramelle a Germana, la sua compagna in tante battaglie.
Fratel Brambilla non ci impediva di passare il tempo sfidando i suoi campioni ed era bello anche perdere tante coca cole contro il trio Recalcati, Zambano, Pandolfi. Un mondo. Il Tau era il vero principe di quella Camelot in via Giusti, un capo generoso, coraggioso che una volta mise un’urna davanti allo spogliatoio, stanco dei borbottii in allenamento: “Scrivete quello che non vi va più di fare”. Esperimento riuscito? Non sappiamo. Di certo lui imparò anche da quel confronto generazionale e la sua vita di grande allenatore ne è la dimostrazione.
Non cercava riflettori, a meno che non illuminassero passione e voglia di pensare, per questo si mise con Tricerri a coltivare il campo della speranza con i centri minibasket. Quando Cantù intuì che la nobil casa aveva bisogno di un maestro vero ecco il Tau, allenatore per giovani talenti, fra cui il suo Recalcati dopo essere stato assistente del geniale Stankovic, l’uomo del primo scudetto nel Cantuki, il grande tessitore per la storia gloriosa del basket jugoslavo e poi della federazione mondiale come creativo per mister Jones.
Una vita, quella di Arnaldo detto il Tau, dedicata a far conoscere e i suoi libri di basket sono capolavori, testi fondamentali anche oggi dove gli allenatori cercano posti di blocco per canestri facili, furbi, la via al successo senza doversi sacrificare a cercare i difetti nei fondamentali dei nuovi tatuati. Geniale, mai comodo, spaccamaroni su troppe cose, era il suo pregio e difetto, primo in tutto, ma quando stavi con lui e Germana sembrava davvero che la vita ti avesse sorriso: imparavi.
Ci è dispiaciuto vederlo abbandonato dal basket che gli doveva tanto, ma, come si vede anche adesso nel caso Tanjevic, la riconoscenza pesa, la memoria infastidisce e non basta fare i ruvidi alla Sacchetti per liquidare le dimissioni di Boscia: “Mi confronto con tutti, ma poi faccio di testa mia”. Insistere su questo sa tanto di debolezza. Ci si confronta, si scambiano idee, si devono saper riconoscere le tracce di chi ha fatto davvero tanto per lo sport dove adesso ti godi fama e quattrini. Nella casa della gloria il Tau ci è entrato appena in tempo. Ora la casa è quasi chiusa. Un fastidio, in attesa di scoprire se potrà diventare arma o strumento per altre cose nella politica sportiva. Tristezza.
Così diversa dalla gioia per la curva di Anfield, anche se abbiamo pensato tutta la notte a quel canto che nei nostri stadi è soltanto un berciare minaccioso. C’era qualcosa di mistico su quel prato mentre la gente guardava il cielo e i giocatori si sentivano parte di quelle tribune. Come dovrebbe essere sempre, altro che foto nudi, altro che baracconate in panchina per fingere un riscaldamento, per contestare un cambio.
O notte, dolce e crudele notte, perché ci hai svegliato portandoci via un gigante e questa idea che forse non tutto il calcio è superlega.