Cucina

I ristoratori cambino lavoro

Indiscreto 20/07/2020

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I ristoratori cambino lavoro, se non ce la fanno ad andare avanti. Non sono state le parole esatte pronunciate dal sottosegretario all’Economia Laura Castelli, ma il concetto espresso al Tg2 non era lontanissimo. In sostanza la Castelli ha spiegato che i ristoratori in difficoltà per il lockdown e per il cambio nelle abitudini dei clienti devono essere aiutati dallo Stato a riconvertirsi, partendo dal cambiare il proprio modello di business e al limite cambiando settore.

I ristoratori italiani in difficoltà devono quindi cambiare mestiere? E con loro tutti i loro dipendenti? Saltiamo in scioltezza la scontata polemica politica, con il centro-destra scatenato contro la politica dei 5 Stelle, un movimento filosoficamente nemico degli imprenditori, che sogna 60 milioni di mantenuti (poi dicono che Rutte è cattivo). E veniamo al punto, coinvolgendo i nostri tanti lettori liberisti: perché in Italia e in qualche altro paese (la Francia, da quello che si legge) è considerato uno scandalo cambiare mestiere?

Tolti alcuni lavori iperspecializzati, con un percorso di studi lunghissimo (ad esempio il medico), con un periodo di apprendistato e/o di studio ci si può riconvertire in quasi ogni ruolo. Che poi non sia simpatico tirare una riga su anni di vita, di lavoro, di sogni e di progetti è un altro discorso, ma questo può anche rientrare fra i tanti compromessi che si devono accettare prima di tirare le cuoia.

Se al mercato non importa niente o importa meno di prima dei giornalisti sportivi, dei ristoratori, degli insegnanti di lettere, dei minatori, dei chitarristi, dei negozianti di abbigliamento, allo Stato si può chiedere di aiutare nelle prime necessità e nella riconversione professionale dei singoli esseri umani e delle singole famiglie, ma non certo di finanziare attività economiche in perdita. Anche se questo poi è avvenuto per decenni, spaziando dall’acciaio al pecorino sardo. Insomma, senza volerlo la Castelli ha detto qualcosa di liberista, pur con la furbizia di avere toccato una categoria numericamente limitata e che davvero si confronta con il mercato, al contrario di una parte d’Italia iperprotetta ed in vacanza da sei mesi.

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