I collegamenti di Bubba

21 Ottobre 2008 di Stefano Troilo

La crisi dei mercati finanziari tanto reale poi non è, almeno finché nelle banche nostrane non si parlerà l’inglese. Quella dell’economia reale rende un po’ più socialisti i neocon americani e un po’ più liberisti i cinesi, da sempre comunisti almeno sulla carta. Il maestro unico italiano, invece, c’era anche nella decade da bere, ma era sorvegliato a vista dal crocifisso, dalla foto di Cossiga e dal primo piano di Giovanni Paolo II. Non è un caso che proprio vent’anni fa, in piena epoca pentapartitica, finì al Festival di Sanremo la simpatica formazione dei Figli di Bubba. Un progetto da non definire “band” per via dell’effimera durata, e da non inquadrare neanche per sogno nei concetti tra loro opposti di “squadra” e “collettivo”: una squadra denominata Italia, per esempio, a Sanremo ci andò nel 1994 con il veneratissimo Mario Merola, mentre un collettivo qualsiasi sa di Feste dell’Unità da qualcuno compiante. I Figli di Bubba sono concettualmente vicini allo spirito dell’epoca: mettere assieme Mauro Pagani e Franz Di Cioccio della PFM con l’ex paninaro Enzo Braschi e Sergio Vastano, più tre giornalisti come Giorgio Manfredi, Roberto Gatti e Alberto Tonti significava oltrepassare il concetto di pentapartito. Che la loro “Nella valle dei Timbales” fosse una sentenza per i posteri lo si intuisce fin dall’incipit: “Dopo una vita di risparmi, di bot e cct, io devo proprio riposarmi, andare via di qui”. La base scorre mentre i figli di Bubba – nel senso di Giorgio, il mitico cronista di 90° Minuto – pescano a caso tra femmine procaci, peones, marones, salmones, daiquiri, bon bons, sognando di dormire tra lenzuola di raso, con le dita nel naso, senza Celentano e la Carrà. L’imparziale cronaca ricorda che al Festival di Sanremo 1988 vinse Massimo Ranieri con “Perdere l’amore”, mentre i Figli di Bubba si classificarono quattordicesimi: ben dodici posizioni sopra Alan Sorrenti, fanalino di coda con “Come per miracolo”. Dopo il Festival incisero anche un ellepì-cult intitolato “Essi”, parodia esplicita del marchio della compagnia petrolifera che coniò lo slogan yuppie “Vai col tigre”. Ma quella canzonetta è anche una prosecuzione filologica del “Nuntereggaepiù” di Rino Gaetano, uscito guardacaso dieci anni prima: sequenze binarie come “Eya alalà pci psi dc dc pci psi pli pri dc dc dc dc” e classiche come “mi sia consentito dire/il nostro è un partito serio/disponibile al confronto/nella misura in cui/alternativo/aliena ogni compromesso” inducono quantomeno al dubbio. E pazienza se nel frattempo il numero 5 (Ferri o Stankovic?) avrà trovato spazio in prima squadra.
Stefano Troilo
http://www.myspace.com/stefanotroilo
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