Gli altri Oranje

28 Aprile 2008 di Alec Cordolcini

1. Viaggio in auto in una tiepida mattina di luglio nel cuore della “vera” Olanda, quella dei mulini a vento, dei polder, dei canali, delle dune e delle dighe. In due parole, la provincia del Noord-Holland. L’auto si ferma; sulla sinistra, un oceano verde dentro al quale pascolano una cinquantina di mucche, quelle tipiche bianche pezzate di nero, stagliate su un orizzonte terso dove spuntano la cuspide di una chiesa e un paio di case in legno con frontone a triangolo; sulla destra invece un prato con un piccolo campo da calcio cintato da uno steccato e affiancato da un corso d’acqua. Un gruppo di uomini corre e sbuffa lungo l’intero perimetro del terreno di gioco, qualcuno calcia un pallone verso la porta, altri fanno esercizi a metà campo, un paio infine staziona sul bordo del canale e, munito di retino, pesca i palloni che ci finiscono dentro. -Qualche club amatoriale della zona di Edam che prepara la nuova stagione? -No, sono quelli del Volendam. Sai, quest’anno sono tornati in Eredivisie.
2. Quella stagione iniziata a recuperare i palloni finiti in acqua il Volendam la concluderà all’ultimo posto sfiorando anche il record negativo del maggior numero di gol incassati, 94 in 40 partite (considerando anche i play-off salvezza), senza però turbare particolarmente la placida vita di questa città di pescatori (ormai in drastico calo) e di commercianti (quasi il 20% della popolazione lavora in proprio) che rappresenta una sorta di unicum nei Paesi Bassi. Enclave cattolica in una provincia calvinista, la leggenda (ma solo quella) vuole che la città sia stata fondata da un gruppo di baschi durante il periodo delle guerre contro il re di Spagna Filippo II. Indubbiamente Volendam affascina per il rispetto delle tradizioni, con gli abitanti più anziani che tutt’oggi nel corso delle feste di paese circolano per le strade indossando i tipici costumi del luogo (pantaloni a sbuffo e maglione di lana per gli uomini, scialle e grembiule a righe, vestito a fiori e cuffietta per le donne), e per quei suggestivi paesaggi (il porto, in particolare, con le barche colorate e le case in legno che si specchiano nell’acqua) che profumano di un’altra epoca. Terra di instancabili lavoratori, un po’ come in Italia viene considerato il Nordest, ma anche di creativi (è nato in loco il Palingsound, un sottogenere della pop-music che mischia musica leggera con sonorità tradizionali del folk olandese) e di sportivi. Le grandi passioni locali si chiamano Jan Akkerman, musicista votato nel 1973 dai lettori della rivista Melody Maker miglior chitarrista del mondo, e Fc Volendam.
3. Li chiamano gli “altri oranje” quelli del Volendam, casacca arancione come la maglia dalla Nazionale e fama di club yo-yo (heen en weer, all’olandese), sempre a cavallo tra Eredivisie ed Eerste Divisie. L’ultima promozione, la numero nove dalla nascita del campionato nazionale a girone unico, è arrivata una settimana fa, per un ritorno in quella Eredivisie lasciata nel 2004 nella maniera rovinosa citata poco sopra. Ma per una provinciale costruita quasi esclusivamente sui giovani (nell’attuale rosa ci sono due classe 85, quattro 86 e otto 87, e solo due over-30) e dalla filosofia semi-autarchica (solo 4 gli stranieri in squadra), certe performance possono anche essere messe in preventivo, senza drammi. Il Volendam dovrà fare a meno di Stanley Menzo, tecnico emergente ed ambizioso di cui abbiamo già parlato (lo sostituirà Frans Adelaar), e sarà costretto ad aggrapparsi ancora di più al prodotto locale Jack Tuyp, capocannoniere del campionato con 26 reti ed emblema di quello che lui stesso ha scherzosamente definito la sindrome di Volendam. “Molti abitanti della città”, spiega Tuyp, “reputano Volendam il centro del mondo, e già quando si spostano a Marken (cittadina posta sulla penisola di fronte, ndr) cominciano a non trovarsi più pienamente a proprio agio. Un tantino eccessivo, o no?”. Ma quando nel 2004 Tuyp lasciò la casa madre per un’esperienza a Groningen fu un completo disastro, tanto che già la stagione successiva venne rispedito a casa in prestito. E lì ci è rimasto.
4. Se l’idolo odierno si chiama Jack Tuyp, se quello a livello statistico è Dick Tol, 276 reti realizzate in maglia arancio e pure un titolo di capocannoniere della Eredivisie nella stagione 61-62 (cinque anni dopo sarà re dei bomber anche in Eerste Divisie), i personaggi calcistici per eccellenza di Volendam sono i fratelli Mühren, Gerrie e Arnold, entrambi nel cast, pur in qualità di attori non protagonisti, delle due migliori epoche vissute dal calcio olandese, ovvero il Calcio Totale e l’Europeo dell’88. Il più anziano dei due, Gerrie, arrivò all’Ajax nel 1968 con la fama di giocoliere e un record di palleggi, 3467 narrano fonti ufficiose dell’area di Volendam, che non fece particolarmente colpo su Rinus Michels, il quale lo indirizzò verso uno stile di gioco maggiormente sobrio. Nell’Ajax campione di tutto dell’era Cruijff, Mühren era uno di quelli che svolgeva il lavoro sporco, anche se la tecnica era da numero 10, come ricordò a tutti nel corso della semifinale di Coppa Campioni 72-73 al Santiago Bernabeu contro il Real Madrid, quando si mise a palleggiare a centrocampo come se si trovasse in una qualsiasi partita di allenamento. Terminato il ciclo Ajax migrò a Siviglia, sponda Betis, dove venne anche votato miglior giocatore della Liga. Due anni prima aveva rifiutato, contro il parere della moglie e dei famigliari, la convocazione in nazionale per il Mondiale del 1974 perché voleva rimanere accanto al figlio nato da pochi mesi e che non lo faceva dormire di notte. Forse soffriva di qualche disturbo, o magari era semplicemente inquieto, per Mühren non era questo il punto. “Pensaci bene stasera e domani chiamami”, gli disse Rinus Michels al telefono. “Mister, sa già che non lo farò”. Non ci tornerà più in nazionale, il primo giocatore di Volendam (e, attenzione, non del Volendam, perché quello sarà Frank Berghuis nel 1989, primo e finora unico) a vestire la casacca oranje, senza però alcun rimpianto. Gerrie Mühren aveva scelto la famiglia.
5. Della famiglia Mühren faceva parte anche Arnold, di cinque anni più giovane del fratello, ma dall’eguale perizia con la palla tra i piedi. La fascia sinistra era il suo regno, il piede mancino la sua bacchetta magica (“ma in realtà ero ambidestro grazie agli allenamenti con papà da piccolo, perché lui era solito dire: dal momento che cammini con due gambe, devi anche saper giocare a calcio con entrambe”), le coppe dell’Europa minore il suo pane. Iniziò (male) nel 1975 con il Twente, dove era sbarcato l’anno prima al termine di un triennio all’Ajax ricco di successi ma povero di soddisfazioni personali, visto che mai era riuscito a ritagliarsi uno spazio nell’undici titolare. Twente, si diceva, quello mitico guidato dal libero alla Beckenbauer Epi Drost, arrivato ad un soffio sia dal titolo nazionale che dalla Coppa Uefa, persa contro il Borussia Mönchengladbach. La seconda finale di Arnold arriva nell’81 con l’Ipswich Town, e questa volta il trofeo finisce in bacheca a scapito proprio di una compagine olandese, l’Az’67 di Alkmaar. Curioso un aneddoto che Arnold Mühren ama raccontare sugli inizi della sua esperienza inglese. “Debuttai contro il Liverpool, il mio dirimpettaio era Terry McDermott. Corremmo su e giù lungo la fascia per tutti i novanta minuti non toccando praticamente palla, perché questa era sempre in cielo e viaggiava da una trequarti all’altra. A fine partita presi da parte il nostro tecnico, Bobby Robson, e gli dissi che per giocare così tanto valeva mettere in campo al posto del sottoscritto un guardalinee, che era più abituato a correre avanti e indietro. Volevo che si giocasse palla a terra, e volevo soprattutto il pallone tra i piedi. Al resto, comunicai a Robson, ci avrei pensato io”. Dopo Ipswich ecco Manchester, lo United, e la soddisfazione di essere il primo giocatore olandese ad aver giocato, e segnato, in una finale di Coppa d’Inghilterra (sua la rete conclusiva nel 4-0 al Brighton & Hov

e Albion). Poi il richiamo delle sirene di casa, e una scelta che il fratello Gerrie aveva sempre rifiutato bollandola come “minestra riscaldata”: tornare all’Ajax. Ad Amsterdam arriva però un’altra finale e un’altra coppa europea, la Coppa delle Coppe questa volta, conquistata ai danni dei tedeschi dell’Est del Lokomotive Lipsia. Il meglio però lo porta la Nazionale, quella dell’Euro 88. Mühren c’è, e tocca proprio a lui crossare quel pallone che Marco van Basten trasformerà in un gesto tecnico di rara bellezza nella ormai mitica finale contro l’Unione Sovietica. Olanda campione d’Europa, e Arnold Mühren celebrato per il miglior traversone della sua carriera. “Ma non è affatto vero, vidi Marco correre verso l’area e tentati di mettergli la palla sulla testa. Ne uscì però una traiettoria leggermente più lunga del previsto, quello che successe dopo esula dai miei meriti”.
6. Chiudiamo con un ritorno all’attualità occupandoci della Coppa d’Olanda, che domenica ha vissuto il suo atto conclusivo nella scontata finale tra Feyenoord e Roda, vinta dai primi 2-0. Vero è che al cospetto del club di Rotterdam, specialmente in questi ultimi anni, l’aggettivo “scontato” vada usato con molta cautela, nel bene e soprattutto nel male, ma lo stato di disarmo pressoché totale nel quale versava il Roda in queste ultime settimane non lasciava prevedere alcuna possibilità di “colpo gobbo”. Ha aperto Landzaat, ha chiuso De Guzman, per una pratica liquidata in trentasei minuti di gioco. Van Marwijck lascia il De Kuip per la nazionale, ma questa volta non verrà rimpianto dal popolo dei Rotterdammers; il sesto posto finale in campionato, che ha impedito alla squadra di tentare di giocarsi la qualificazione alla Champions League, brucia parecchio, specialmente in relazione alle premesse e alla rosa a disposizione, a meno che qualcuno non trovi il coraggio di sostenere che Sibon sia meglio di Makaay, Fehér di Van Bronckhorst o Wilkshire di De Guzman. Delusione quindi, anche se rispetto al disastro dello scorso anno ci sono almeno buone basi da cui ripartire; i tre giocatori citati poco sopra, più Bruins, Sahin (se rimarrà in prestito o verrà riscattato), Landzaat, Fer, Wijnaldum, Hofland. Servono una prima punta per dare respiro a Makaay (il 37enne Mols non può bastare), un leader in difesa, un mastino a centrocampo (si potrebbe riportare a casa Boateng dal Middlesborough) e un terzino destro con più corsa e qualità rispetto a Lucius e Greene. In panchina, Gertjan Verbeek è garanzia di bel calcio senza integralismi ultra-offensivi alla Ruud Gullit. Nel frattempo, auguri per i 100 anni.

Alec Cordolcini
wovenhand@libero.it

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